I numeri del Documento di economia e finanza, prima fotografia dell’andamento economico dell’anno in corso immaginando quello che verrà. Quindi il nodo del Pnrr, che sarà ora e per sempre – fino al 2026 – l’assillo del governo Meloni. E poi le nomine, il primo vero esercizio di “potere” del primo governo politico alla guida del Paese da circa dieci anni. Il Conte1 durò troppo poco per incrociare questo fatidico appuntamento, per la classe politica e per il paese visto che solo le top six delle partecipate per cui si stanno per rinnovare i vertici (Eni, Enel, Poste, Leonardo, Terna e Fs) valgono in Borsa qualcosa come 150 miliardi.

Il governo si prepara ad un martedì da leoni dopo Pasqua e Pasquetta. Palazzo Chigi ha dato venerdì la convocazione per il prossimo Consiglio dei ministri (oggi, ore 15) e l’ordine del giorno che vede come protagonista quasi unico il ministero dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Sarà presentato il Def, un disegno di legge su “interventi a sostegno della competitività dei capitali” e poi “Varie ed eventuali”, in questo caso la lista dei nomi dei nuovi cda delle partecipate di Stato. Giorgetti deve consegnare entro venerdì la lista di nomi dei nuovi cda su cui si sono consumati tre mesi abbondanti di discussioni, polemiche e confronti. Tre mesi che hanno fissato uno “schema di gioco” evidente anche ai più distratti: Giorgia Meloni vuole prendersi tutto o quasi, comunque vuole decidere lei. Al tempo stesso vorrebbe garantire “priorità alla competenza sulla appartenenza anche se questo vuol dire non dare discontinuità” ai vertici di quelle aziende.

Contraria a questo approccio sembra la Lega.Abbiamo detto per anni che avevamo contro un intero potere targato Pd e che saremmo arrivati finalmente col machete. Ci siamo definiti consapevoli dell’occasione storica che avremmo avuto una volta arrivati al governo e adesso ci avviamo a confermare 3/4 di quel potere?”. In tutto questo Forza Italia si è seduta al tavolo (è tornato in campo Gianni Letta) con le migliori intenzioni di non disturbare il manovratore – Meloni – e di portare a casa il più possibile. E’ accaduto in un momento preciso – prima del ricovero di Berlusconi – quando Marina Berlusconi ha deciso con Fedele Confalonieri che era necessario sottrarre il partito all’asse con la Lega e quindi al blocco della cosiddetta “opposizione” interna. Il segnale è stato chiaro ed univoco: azzerato il capogruppo alla Camera Cattaneo, sostituito con il governativo Barelli, depotenziato il ruolo di Licia Ronzulli sempre a favore dell’ala Tajani, cioè governativa. Matteo Salvini è rimasto più solo.

Da qui il nervosismo in maggioranza con la corsa, da parte di Lega e Fdi, ad accaparrarsi i resti di Forza Italia. Il paradosso è che nel momento da massima debolezza, il partito del Cavaliere è anche al massimo del suo potere contrattuale: sia Meloni che Salvini sanno benissimo che senza la quota moderata e liberal di Forza Italia non avrebbero la necessaria agibilità politica nel contesto europeo. In questo scenario, il ministro economico Giancarlo Giorgetti oggi presenta i numeri del Def che a loro volta vanno intrecciati con quelli del Pnrr. Il tendenziale di crescita è fissato allo 0,9% (era 0,6% nella Nadef di novembre 2022). Il rapporto deficit-pil tendenziale per il 2023 scenderà così al 4,35% (era 4,5% a novembre). “Un quadro positivo ma prudenziale” filtra dagli uffici di via XX Settembre. Si parla infatti di una crescita che potrebbe superare l’1%. Stime tutte riviste al rialzo con il Pil in crescita nel 2024 (+1,9) e nel 2025 (1,3%) il deficit che diminuisce ma lentamente (-4,5 nel 2023; -3,7 nel 2024 e -3 nel 2025) e il debito che scenderà al 141,2% solo nel 2025 (nel 2023 sarà al 144,6%).

Eppure non sono cifre rassicuranti per Bruxelles. Vari i motivi: il deficit si riduce troppo poco; maggiori risorse e più margini di spesa che però sarebbero polverizzati in spesa corrente e pochi investimenti. Soprattutto l’incognita Pnrr: saranno erogate le tranche del prestito? Come saranno spesi quei soldi? Gli allarmi del governo sulla necessità di cambiare i progetti e il pressing politico e mediatico per destinare alle grandi partecipate di Stato la maggior parte dei soldi con la certezza del loro utilizzo non piace ai tecnici di palazzo Berlaymont. Anche perché andrebbe a snaturare l’essenza stessa del Pnrr: riformare il Paese una volta per tutte in giustizia, competitività, concorrenza, burocrazia e riconnettere nord e sud. Senza contare che dal primo di gennaio tornerà in vigore il Patto di Stabilità che sarà corretto e modificato ma non certo nella parte che riguarda il parametro del deficit che resterà al 3%.

Insomma, il riscaldamento è finito e adesso il governo deve fare sul serio. Non ci sono più scuse. E allora, per buttare un po’ di polvere negli occhi, Fratelli d’Italia ha pensato bene di presentare un disegno di legge contro gli “ecovandali”. Carcere per chi imbratta i beni culturali. Probabilmente non sono bravi ragazzi quelli che lanciano vernice contro Palazzo Vecchio e il Senato. Il carcere e il solito panpenalismo sono però un eccesso. Insomma, il seguito del decreto rave party. Della cui applicazione, in sei mesi, non si ha riscontro. Per fortuna.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.