Parafrasando il jingle di Sanremo, posso affermare, senza tema di smentita, che la Roma è altrettanto unica e non classificabile: la Roma, come sanno tutti i romanisti, è la Roma, punto e a capo. Per raccontare l’essenza della tifoseria della Roma, bisogna lanciarsi in un territorio inesplorato e tentare di spiegare i romani, categoria alla quale appartengo per nascita e fede. I romani dunque, i romani si innamorano e soffrono per amore. Ce lo spiegano bene le canzoni popolari: quelle di Milano parlano di malavita, quelle di Roma di amori struggenti.

A partire dall’inno, anzi dagli inni visto che la Roma ne ha diversi. Il più famoso è erroneamente noto come “Roma Roma Roma” ed è quello che inizia – e già il testo esplicita il senso profondo di essere tifoso romanista – con “Roma, Roma, Roma, core de ‘sta città, unico grande amore, de tanta e tanta gente che fai sospirà”. In realtà la canzone di Antonello Venditti si intitola “Roma (non si discute si ama)”, un proclama piuttosto definitivo che spiega tutto sulla romanità, ed ha una storia particolare visto che la parte del testo che recita “rossa come il core mio” venne considerata una dichiarazione politica pericolosa e comunista (erano gli anni ’70 quando fu incisa su 45 giri) e per un po’ la canzone fu accantonata, prima di tornare a furor di popolo capitolino in testa alle partite.

La Roma ha, come dicevo, tanti altri inni, ufficiali o meno, come la ruggente “Forza Roma” di Lando Fiorini (quella che fa “Forza Roma, forza lupi”), ma anche un’altra mitica canzone che ha un utilizzo più “cinematografico” perché cantata solo a fine partita, nei titoli di coda appunto, che si vinca o che si perda non importa. È ovviamente “Grazie Roma”, anche questa di Venditti, ed anche qui si parla di lacrime, abbracci e commozione.

Tutto questo per dire che il tifoso della Roma si innamora e, spesso, soffre. Ma quando si innamora è per sempre, cosa che nella vita vera non capita mai, alla faccia degli happy ending dei film e delle favole. Nel mio mezzo e più secolo ho visto tanti amori nascere e resistere nel tempo: Nils Liedholm, Bruno Conti, lo sfortunato capitan Ago Di Bartolomei, naturalmente Francesco Totti ma anche Capitan Futuro Daniele De Rossi. Tutti loro, e tanti altri, sono stati per un breve o lungo periodo i Re di Roma, degni eredi di Numa Pompilio e gli altri sei monarchi che è complicato ricordare in fila.

Ma il romanista si è perdutamente innamorato anche di altri giocatori o allenatori meno iconici magari, ma altrettanto indimenticabili. Chiedete in curva quanto correva Nela sulla fascia, quanto si sollevava magicamente da terra Pruzzo, che tocco di palla aveva il Principe Giannini, che lottatore eclettico era il divino Falcao e vedrete gli occhi lucidi di nostalgia, sentirete distintamente un tonfo al cuore e si allargheranno i sorrisi.

Non conta se si tratti di giocatori che hanno alzato una coppa o che hanno sul petto uno scudetto, contano di più l’appartenenza e il cuore, prima ancora della tecnica calcistica. È amore, non è banale tifo ma un sentimento vero, quello che nasce alle elementari, sulle pagine dell’album dei calciatori, e non si spegne più. Il più recente innamoramento è nato a Setubal, in Portogallo e si chiama José. José Mourinho. L’ultimo re di Roma. Magari quando leggerete queste righe avrà già prenotato un volo in business class per un’altra città europea (speriamo di no) ma deve sapere una cosa: nessuno lo amerà mai così tanto come è stato amato qui.

Essere José Mourinho a Roma, allenare la Roma, portarla per due anni di seguito in una finale europea (e vincerne quasi due) è una sorta di lasciapassare per l’eterno affetto e riconoscenza. Se ne accorgerà quando camminerà per le strade di Monaco, Parigi, Manchester, Liverpool o dovunque lo porterà un futuro ingaggio. È lì che scoprirà la profonda differenza che c’è tra stima e amore. Amore giallorosso de tanta e tanta gente che fai sospirà.