La dinamica
Pil post Covid, l’Italia meglio di tutti: +2,3% rispetto al 2019. E il grazie va a Draghi

Secondo le recenti revisioni dell’Istat, diffuse venerdì 22 settembre scorso, nel 2021 la ripresa dell’economia italiana dopo la pandemia è stata perfino più forte di quanto si era ritenuto finora. Infatti, il nostro PIL nel 2021 è aumentato in termini reali dell’8,3% e non del 7%, che pure già era da considerarsi un progresso eccezionale. Cioè, l’economia italiana nel 2021 è cresciuta dell’1,3% in più rispetto a quanto precedentemente stimato.
La stima del PIL nel 2022 è invece rimasta immutata, pari a +3,7%, ma anche questa conferma è da ritenersi di per sé come un altro risultato notevole, perché significa che la revisione al rialzo del 2021 non è andata a detrimento della variazione dell’anno successivo. Sicché nel biennio 2021-2022 l’economia italiana è progredita in totale del 12,3% rispetto al 2020. Un balzo che pone il nostro Paese in testa tra le cinque più grandi nazioni europee per reattività post Covid-19. E che mette ancor più in evidenza la notevole capacità di recupero dell’economia italiana dopo la crisi pandemica, sotto la autorevole guida del governo Draghi, un esecutivo che verrà probabilmente ricordato nella storia del nostro Paese per essere stato “mandato a casa” da alcuni partiti in crisi di successi proprio perché troppo di successo. Ciò grazie alla efficace campagna vaccinale varata nel 2021, che ha permesso un rapido ritorno a condizioni normali della socialità e delle attività produttive, alla grande ondata di fiducia che ha ispirato e spinto per quasi due anni il comportamento di imprese, famiglie e mercati, al dinamismo di un tessuto economico uscito enormemente rafforzato dopo il ciclo di investimenti tecnici e digitali favorito dal Piano Industria 4.0 e, in ultimo, grazie anche alle pronte misure adottate a difesa del potere d’acquisto delle famiglie quando nel 2022 è esplosa l’inflazione.
Va ricordato che anche gli istituti di statistica di altri importanti Paesi hanno operato delle revisioni al rialzo delle stime economiche precedenti ma, nonostante tali revisioni, nel 2022 la Spagna e il Regno Unito hanno soltanto riavvicinato i livelli di PIL del 2019, mentre la Germania dovrebbe aver conseguito dei livelli appena superiori. In particolare, per quanto riguarda il 2021 la revisione del PIL dell’Italia (+1,3%) sarebbe stata, secondo l’Istat, la più forte tra quelle operate dai cinque maggiori Paesi europei, davanti alla revisione britannica (+1,1%), a quella spagnola (+0,9%) e a quella tedesca (+0,6%), mentre la Francia avrebbe registrato una revisione al ribasso (-0,4%). La Spagna ha effettuato una modesta revisione al rialzo (+0,3%) anche della crescita del 2022 (portandola da +5,5% a +5,8%). Ciò nonostante, a differenza di quello italiano, nel 2022 il PIL spagnolo risultava ancora dello 0,1% inferiore a quello del 2019. Per contro, il nostro PIL del 2022 risultava già del 2,3% più alto in volume di quello del 2019. In altri termini, le revisioni hanno ancor più accentuato il divario tra la superiore crescita economica dell’Italia e quella delle altre nazioni dopo la crisi del 2020.
Il confronto Italia-Spagna è particolarmente interessante perché evidenzia in modo inequivocabile la più pronta e incisiva reazione alla crisi pandemica dell’economia del nostro Paese. È vero che la Spagna sta ora crescendo nel 2023 di più dell’Italia ma la sua ripresa nel 2021 e 2022 è stata tardiva e meno intensa della nostra. Tant’è che, se anche assumessimo come certe le ultime previsioni della Commissione Europea per il 2023 (Italia +0,9%; Spagna +2,2%), nel 2023 l’Italia resterebbe comunque ancora di molto avanti alla Spagna, con una crescita cumulata del 3,2% rispetto al 2019 contro quella del 2,1% del paese iberico.
Le stime Istat riviste ci dicono che, dal lato della domanda, i maggiori contributi alla robusta ripresa dell’8,3% del PIL italiano avvenuta nel 2021 sono venuti dai consumi delle famiglie (3 punti percentuali degli 8,3 complessivi), dagli investimenti in abitazioni (2,1 punti percentuali) e dagli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto (1,2 punti percentuali). Nel 2022, invece, il maggiore contributo alla crescita del PIL del 3,7% è stato dato dai consumi delle famiglie (2,8 punti percentuali), seguiti dagli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto (0,6 punti percentuali) e dagli investimenti in abitazioni (0,6 punti percentuali).
Dal lato della produzione, un rilevante contributo alla ripresa italiana post Covid-19 è venuto dall’industria manifatturiera, cresciuta del 15,1% nel 2021, e dal settore commercio, trasporti, alloggio e ristorazione, con un aumento del 14,3% nel 2021 a cui ha fatto seguito un altro notevole incremento del 9,8% nel 2022. Per inciso, questi dati evidenziano l’importante contributo fornito alla nostra ripresa post pandemica non solo dai consumi privati e dagli investimenti delle imprese ma anche dall’edilizia abitativa, soprattutto nel 2021. Purtroppo, però, ciò è avvenuto a caro prezzo, a causa degli eccezionali aggravi di finanza pubblica connessi ai superbonus edilizi (il bonus 110 per cento e il bonus facciate), aggravi che hanno finito anche con l’assorbire gli spazi fiscali che la stessa revisione del PIL 2021 e il suo trascinamento in avanti avrebbero potuto offrire alla manovra finanziaria del 2023. Il rammarico per gli eccessi di spesa a carico dello Stato legati a tali bonus edilizi è grande, perché una larga parte della ripresa delle costruzioni abitative avrebbe potuto realizzarsi comunque anche con incentivi meno onerosi.
Allo stesso tempo, è evidente che dopo il momento magico coinciso con il periodo del governo Draghi, durante il quale il nostro Paese ha vissuto una specie di secondo piccolo “miracolo economico”, la dinamica del nostro PIL è andata man mano spegnendosi, anche a causa di un contesto europeo stagnante, che ha paralizzato il commercio intra-comunitario. Alla fiducia “razionale” di imprese e mercati che ha caratterizzato i sette trimestri dell’esecutivo guidato dall’ex Presidente della BCE e che ha generato importanti risultati economici tangibili, si è sostituita la fiducia “irrazionale” degli elettori nei riguardi delle promesse elettorali che nel settembre del 2022 hanno portato alla vittoria dell’attuale maggioranza di governo, tra cui quelle di cospicui tagli delle tasse. Promesse che tuttavia, come era prevedibile, alla prova dei fatti non si sono concretizzate. Il PIL, i consumi e gli investimenti sono ora in frenata e sull’Italia, purtroppo, è tornata la sfiducia dei mercati, assai più difficili da convincere degli elettori.
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