15 ottobre. Finalmente abbiamo una data: per la Polonia è il giorno delle elezioni politiche nazionali, per Bruxelles è una delle ultime importanti tappe che porteranno nel prossimo giugno al rinnovo del parlamento europeo.

Nella giornata dell’altro ieri infatti il presidente polacco Andrzej Duda, esponente del PiS, il partito di destra al governo da 8 anni ed alleato a Bruxelles di Giorgia Meloni, ha fissato finalmente la data delle elezioni provando a coinvolgere due possibili, grandi alleati: il Papa più amato dai polacchi, il “loro” Woytila, e un must della politica dell’est Europa, la lotta contro le politiche migratorie di Bruxelles.

Duda ha infatti fatto coincidere la data con il giorno del Papa, la tradizionale festa che ogni anno nell’anniversario della sua elezione la Chiesa Polacca dedica a Giovanni Paolo II, e molto probabilmente il Parlamento deciderà di accorpare al 15 luglio un referendum sul recente accordo siglato a Bruxelles sui migranti, quello che sostanzialmente prevede (finalmente, aggiungeremo noi) l’obbligo per tutti gli Stati membri di accoglierli o – in mancanza – di pagare una quota in denaro da redistribuire ai Paesi che lo fanno.

A confrontarsi con il PiS, il partito di destra che esprime anche il primo ministro Morawiecki, una coalizione guidata dall’ex primo ministro Donald Tusk e composta dai popolari di Piattaforma Civica, dal partito liberale “Modern” che aderisce ad ALDE (e quindi a Renew Europe) e da altri partiti progressisti e verdi minori. Il duello sarà quindi tra Morawiecki e Tusk: i sondaggi attualmente danno il PiS intorno al 35%, quindi ben lontano dal 43% di quattro anni fa, e Coalizione Civica al 30%, ma non mancano istituti che danno un margine ben più sottile tra i due partiti.

La sfida politica alle elezioni in Polonia è diversa da altri paesi. Qui nessuno o quasi, con la guerra letteralmente alle porte, mette in discussione il posizionamento atlantista ed il sostegno all’Ucraina di Zelensky. Anzi, il tema è così sentito che nei mesi scorsi si è tentata una operazione di killeraggio politico nei confronti di Tusk proponendo una commissione parlamentare di indagine sulle influenze russe negli anni precedenti, così oltre il limite dello stato di diritto che è intervenuta più volte l’Europa per tentare, con successo, di limare il testo finale della legge che la istituiva.

Il tema principale qui è la conservazione. Il PiS rappresenta quella parte di Polonia, cittadina ma soprattutto rurale, che ha paura di futuro multiculturale e globalizzato e per questo si aggrappa ai valori tradizionali e radicalmente conservatori. È la Polonia che ha condiviso una violentissima battaglia contro l’aborto che in questi anni il governo ha fatto, rendendolo praticamente impossibile se non in caso di stupro o evidente pericolo di vita per la madre. È la Polonia che si è scagliata contro l’ideologia gender e contro qualunque istanza del mondo gay, arrivando a istituzionalizzare zone “LGBT-free” in alcune zone rurali del paese. Ed è soprattutto la Polonia xenofoba e islamofobica, che – nonostante l’oggettiva dimostrazione di solidarietà scattata in tutto il paese con l’invasione dell’Ucraina nell’accogliere ben oltre 1 milione di rifugiati – rifiuta gli immigranti provenienti dai paesi del nord africa e non cristiani. Anche a costo di pagare l’UE per non averli accolti. O di fare un referendum per evitare di fare l’una e l’altra cosa.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva