L’Istat ha recentemente pubblicato l’annuale Rapporto sulle condizioni di vita e il reddito degli italiani, avendo aderito – a partire dal 2004 – al progetto Eu-Silc (European Union Statistics on Income and Living Conditions), una delle principali fonti di dati per i rapporti periodici dell’Unione europea sulla situazione sociale e sulla diffusione del disagio economico nei Paesi membri. I dati sulle condizioni di vita nel 2024 mostrano un quadro sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente. La popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale nel 2024 è pari al 23,1% (era 22,8% nel 2023), per un totale di circa 13 milioni e 525mila persone, in pratica circa un italiano su quattro. Si tratta degli individui che si trovano in almeno una delle seguenti tre condizioni: a rischio di povertà, in grave deprivazione materiale e sociale o a bassa intensità di lavoro. Si divarica poi la forbice tra famiglie abbienti e famiglie più povere con un reddito che, nelle prime, è del 5.5% superiore alle seconde, mentre in via generale il reddito medio annuale (37.511 euro) aumenta del 4.2% in termini nominali e diminuisce dell’1.6% in termini reali.

Una tendenza spiegata dal fatto che la crescita nominale deve fare i conti con l’inflazione osservata nel corso del 2023, a più 5.9% secondo i dati Ipca. Il concetto di “rischio di povertà” riguarda peraltro le famiglie il cui reddito netto equivalente è inferiore al 60% di quello mediano, mentre risulta stabile l’indice della popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale – oltre 2 milioni e 710mila persone, pari al 4.6% – classificata in base ad indicatori standard europei. Si conferma il gap di rischio povertà o di esclusione sociale tra il nord-est del Paese (area geografica più benestante) e il Mezzogiorno, rispettivamente quantificate all’11.2% e al 39.2%.

Di tutta evidenza è il dato relativo al Sud, che peggiora lievemente rispetto all’anno precedente: un trend che interroga sulle decennali politiche di investimenti mirati allo sviluppo di questo territorio. Osservando i nuclei familiari si evidenzia che l’incidenza dei due fattori deprivanti (rischio povertà/esclusione sociale) è minore per le coppie senza figli; per quelle con uno/due figli rimane sostanzialmente stabile (al 19%) e inferiore alla media; mentre aumenta con uno scatto annuale dal 32% al 34.8% per quelle con tre figli e per i nuclei monogenitoriali (dal 29% al 32.1%) così come per gli anziani over 65 che vivono da soli (dal 27.2% al 29.5%).

L’ascensore sociale è fermo al piano terra – ormai è la metafora dei perdenti – l’inflazione riprende a correre, le vicende internazionali, dalle guerre ai dazi, generano attese ansiogene senza che si materializzino rimedi compensativi: i dati del Rapporto descrivono un trend di appiattimento verso il basso, al quale il popolo italiano sembra rassegnato, perché le buone notizie non si trovano nemmeno al mercatino dell’usato. Mentre politica e sindacati litigano (“si sta peggio”/”si sta meglio”) senza incidere sui risultati monitorati dall’Istat, il Paese arranca e sembra abbandonarsi a derive di piccolo-medio cabotaggio: meglio l’uovo oggi che la gallina domani, si perseguono obiettivi concreti minimi, crescono sfiducia e ritrazione silenziosa nel privato, la cura del particulare prevale sulla lungimiranza. Come certificato dall’altrettanto recente Rapporto Censis sulla comunicazione, crescono le persone che usano uno smartphone (89.3%), il computer (90.1%) o guardano la televisione (94.1%): i media e i social sono a un tempo rifugio e megafono della vita come attesa. Come diceva Eduardo…«Adda passà a nuttata».