Con l’avvicinarsi in Francia della fine del mandato presidenziale, che scade in aprile 2022, la campagna elettorale d’oltralpe sta entrando nel vivo. Esistono per il momento alcuni candidati, molto probabili anche se non tutti definitivamente dichiarati, che sono in posizione non irrisoria nei sondaggi. Oltre a quelli già presenti alle precedenti elezioni del 2017, Emmanuel Macron, il presidente uscente e Marine Le Pen, la leader della destra nazionalista, c’è la candidatura di Jean-Luc Mélenchon.

Gli ultimi due rappresentano le ali estreme dello schieramento politico, la prima a destra e il secondo a sinistra. La sinistra socialista tradizionale sosterrà probabilmente Anne Hidalgo, sindaco di Parigi. Per quanto riguarda la destra liberale, Xavier Bertrand, indipendente di destra, ministro del lavoro durante la presidenza Chirac, ha già annunciato la sua volontà di presentarsi in ogni caso alla competizione elettorale. Ci saranno primarie, invece, fra i verdi e nel partito Les Républicains – quello che è rimasto del vecchio movimento gaullista – per scegliere il candidato dei rispettivi partiti alla elezione presidenziale. In quest’ultimo caso, quello della destra liberale, la presidente della regione Ile de France, Valérie Pécresse ha probabilmente le maggiori chance di vincere le primarie.

Oggi i candidati più forti (secondo quanto emerge dai sondaggi) sono Macron, Le Pen, Bertrand e Pécresse. La sinistra è troppo divisa fra quello che resta (poco) del Partito Socialista e l’estrema sinistra della France insoumise di Mélenchon. I Verdi francesi, molto meno moderati dei loro corrispondenti tedeschi, andando alle elezioni da soli, senza un accordo con i socialisti, verosimilmente resteranno al palo. Potrebbe accadere lo stesso per i due potenziali candidati della destra liberale e pro-europea, Bertrand e Pécresse: se nessuno dei due abbandonasse la corsa non avrebbero nemmeno loro una chance di arrivare al secondo turno, poiché si rivolgono allo stesso mercato elettorale, che si dividerebbe in due. Se fossero razionali, i due leader si metterebbero d’accordo sulla base di un ticket informale, che potrebbe prevedere che il vincitore eventuale offra, a chi si è ritirato a suo favore, il posto di primo ministro. Per ora non è dato sapere se tale accordo si troverà. La sola cosa che sembra evidente è che il vincitore delle elezioni sarà probabilmente già noto sulla base dei risultati del primo turno, invece di dover attendere il secondo, come accade per lo più. Dai sondaggi pubblicati sin qui, sembra infatti che se Marine Le Pen avrà accesso al secondo turno, il suo competitor, che sia Macron, Bertrand o Pécresse, dovrebbe comunque vincere le elezioni. Cerchiamo di spiegare perché.

Com’è evidente, l’elezione diretta di un Presidente della Repubblica non può svolgersi come quella di un candidato di un collegio uninominale alle consultazioni politiche, dove il concorrente con il maggior numero di suffragi conquista comunque il seggio in competizione, anche se riesce ad ottenere, ad esempio, solo il 30% dei voti validi (questo è il meccanismo applicato ad esempio in Italia per i collegi maggioritari alle elezioni politiche). La legittimità di un Presidente nazionale è legata ragionevolmente almeno ad una vittoria che superi il 50% dei voti validi (come accade per le elezioni del sindaco dei grandi comuni in Italia). Se un tale risultato non si raggiunge al primo turno – ed esso non si è mai verificato in Francia, nemmeno quando il candidato era Charles de Gaulle – risulta inevitabile ricorrere ad un ballottaggio fra i due più votati al primo turno.

Ora, poiché un numero più o meno grande dei votanti al primo turno non troverà al secondo il candidato inizialmente prescelto (nel gergo degli studi elettorali, si chiama la loro prima preferenza), al secondo turno costoro (se decideranno di recarsi comunque alle urne), non potranno che esprimere un voto a favore del candidato giunto allo spareggio che, a loro avviso, si trovi su posizioni meno lontane dalla loro prima preferenza, facendo quindi valere la loro seconda opzione. Il numero degli elettori che al secondo turno devono votare per il candidato “meno lontano”, anziché per la loro prima preferenza, può essere molto ampio e risulta decisivo per il risultato finale. È infatti possibile che accedano al secondo turno candidati che hanno raccolto al primo anche solo intorno al 25% dei suffragi espressi: così indicano per ora tutti i sondaggi sul primo turno delle presidenziali francesi. Se questo accadesse, giunti al secondo turno con i due candidati restati in lizza, solo il 50% (25% x 2) degli elettori si troverebbe come possibile opzione di voto la figura prescelta al primo turno.

Il restante 50%, invece, potrà esprimere al ballottaggio solo la propria seconda preferenza. Tenuto conto di questo, se, come credono molti osservatori, Le Pen difficilmente raccoglierà un numero significativo di seconde preferenze tra chi non ha votato per lei al primo turno, la maggior parte di queste andranno, sempre sulla base dei dati di sondaggi di cui disponiamo, invece allo sfidante. Il quale, con tutta probabilità, vincerà il ballottaggio. In teoria ne risulterebbe che al primo turno, piuttosto che disperdere un voto di prima preferenza per un candidato di bandiera che non ha nessuna seria chance di accedere al secondo turno, avrebbe razionalmente senso per l’elettore far valere subito la sua seconda, in modo da permettere al candidato che la raccoglie di giungere al ballottaggio e di vincere l’elezione. Logicamente le cose stanno così. Ma come sappiamo il “voto razionale” è poco diffuso (Anthony Downs diceva che, sul piano strettamente razionale, dato lo scarso peso di un solo voto, non varrebbe neanche la pena per un singolo elettore di affrontare lo sforzo di recarsi alle urne).

Comunque, è sulla base di questo ragionamento che si può dire che nelle prossime elezioni, sarà il primo turno quello decisivo. Qui si deciderà chi sarà lo sfidante di Le Pen e, molto verosimilmente, al secondo turno costei o costui andrà all’Eliseo, grazie alla seconda preferenza espressa. Qualcuno comincia, peraltro, a pensare che Marine Le Pen potrebbe non arrivare al secondo turno e che, nel caso emergesse un solo candidato della destra liberale, il ballottaggio potrebbe aver luogo fra quello della destra e quello del centro, Macron. Come è evidente ci sono ancora molte incognite. Negli ultimi anni pare che gli elettori francesi siano sempre più scontenti di dover far ricorso alla loro seconda preferenza, come se questa fosse una coartazione della loro volontà politica. Ma è dalla presa in considerazione della sua utilità ed efficacia che si può scegliere un Presidente senza passare, ad esempio, per l’arcaico e distorsivo Electoral College americano, che può non assegnare la presidenza al candidato che pure ha ottenuto un numero ben più grande di voti popolari, come era accaduto con Al Gore nel 2000 e con Hillary Clinton nel 2016.

Se i francesi non vogliono più avere a che fare con le loro seconde preferenze, dovrebbero abbandonare il sistema dell’elezione diretta del Presidente e optare per un modello parlamentare, come quello italiano, in cui non si elegge direttamente il Presidente, ma esso viene designato dall’assemblea legislativa. Tenendo conto però del fatto, che viceversa, molti italiani vorrebbero abbandonare questo meccanismo – qualche leader lo ha evocato anche in questi giorni – per passare invece all’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Insomma, in ogni paese, qualunque sia il sistema elettorale adottato, esso scontenta inevitabilmente una parte più o meno significativa di cittadini.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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