Iuri Maria Prado: «Partiamo dall’inizio, cioè dal 7 ottobre. Ciò che dovrebbe essere compreso, e che in troppi non comprendono, è che il pogrom del 7 ottobre in realtà non è l’inizio di qualcosa: rischia di essere la fine di molte cose. La fine dell’idea che Israele, per quanto da sempre esposto alla violenza di chi non ne ha mai accettato l’esistenza, fosse comunque il luogo in cui gli ebrei potessero stare in relativa sicurezza. La fine della convinzione sentimentale, magari anche solo oscuramente viva in tanti ebrei della diaspora, che se altrove le cose si mettono davvero male c’è comunque un posto, Israele, in cui è possibile rifugiarsi e trovare protezione da chi vuole uccidere gli ebrei in quanto ebrei. Ciò che è in gioco ora è esattamente questo: che il 7 ottobre rappresenti uno sfregio osceno, ma riparabile, di quella convinzione, o invece che ne costituisca una revoca definitiva».

Stefano Parisi: «Sono d’accordo. Noi ci confrontiamo tutti i giorni con l’incredibile reazione del mondo a questa guerra: si rimuove sistematicamente la sua origine. Il 7 ottobre è stato un orrore inaudito, dopo la Shoah è il più devastante massacro di ebrei, ma non solo ebrei, mai avvenuto. Eppure, il 7 ottobre è stato collettivamente rimosso. Alcuni negano che sia mai avvenuto, altri pensano che Israele se lo sia meritato, la stragrande maggioranza dei media tratta le informazioni sulla guerra che ne è scaturita senza mai ricordarne la causa. Questo è un caso unico, il solito doppio standard che è una delle manifestazioni più chiare dell’antisemitismo. Nell’informazione sulla guerra in Ucraina è chiaro che la Russia di Putin è l’aggressore e Kiev l’aggredito. Per la guerra a Gaza nella quasi totalità dei servizi giornalistici l’aggressore è Israele e l’aggredito è il popolo palestinese. Hamas è considerata una fonte credibile di informazioni sulla guerra».

Iuri Maria Prado: «Il quadro internazionale è comprensibilmente insensibile alle attuali ragioni di Israele, e quando dico “comprensibilmente” mi riferisco al fatto che la fondazione dello Stato di Israele è percepita da sempre, senza sosta e ancora oggi, come il risultato di un’usurpazione. È questa percezione, alimentata da una pubblicistica menzognera e dal conformismo trash che la impregna, a compilare la collezione di denunce e risoluzioni di marca ONU che trasfigura il volto di una democrazia assediata nel profilo criminale di un’entità sopraffattoria. È questa percezione – legittimata dal riscontro che trova nei mezzi di informazione maggioritari, nel racconto puntualmente scollato dai fatti, nel trash proverbiale di un abbecedario neo-goebbelsiano – a scriminare la violenza antisemita. Una violenza che va da quella puramente declamatoria a quella che esplode su un autobus israeliano pieno di bambini o in un supermercato kosher a migliaia di chilometri di distanza. Perché in un caso e nell’altro si tratta di reazioni a quella colpa originaria; quella evocata, sotto le spoglie di un’equanime ricognizione, dal segretario generale dell’ONU secondo cui il 7 ottobre non viene dal vacuo».

Stefano Parisi: «La realtà è che il 7 ottobre è stato collettivamente rimosso. La solidarietà verso Israele è durata 24 ore, poi sono iniziati i distinguo, l’addossare la colpa a Israele, le falsità sull’occupazione e l’apartheid, le femministe si sono dimenticate delle centinaia di israeliane stuprate, i movimenti LGTBQ inneggiano ad Hamas. Dal 7 ottobre, incredibilmente in Occidente sono cresciuti in modo esponenziale le manifestazioni di antisemitismo, e ogni giorno di più Hamas aumenta il suo consenso nelle opinioni pubbliche occidentali. La causa di questa rimozione è da ricercare anche nella crisi dell’Occidente dei suoi valori. Il fatto che dei giovani occidentali tra la dinamica e vitale democrazia israeliana e la dittatura violenta, oscurantista, patriarcale che inneggia all’odio e alla morte, scelgano di stare con Hamas non può non preoccuparci. Questo è il vero fallimento del nostro sistema educativo. Ed è per questo che è nata Setteottobre».

Iuri Maria Prado: «Il sistema educativo è, come si dice, centrale. Pensiamo all’uso che si fa della dicitura “antisionista”. Nell’attuale quadro sbilenco, la “critica” (e la violenza) “antisionista” costituisce l’attrezzo che ha rifatto la punta al grimaldello antisemita. È sconfortante, per quanto non stupefacente, assistere alla facilità e alla velocità con cui l’uso di quel termine – “antisionista” – è venuto accreditandosi in un atteggiamento lecito e politicamente presentabile, nonostante sia preso in prestito dalla tradizione che riteniamo di avversare nei precetti costituzionali e nelle celebrazioni della Memoria. E questo è il punto: l’uso inappropriato delle parole considerato tutt’al più (quando va bene) un’aberrazione denominativa, mentre se ne trascura il passato gravido di tragedia e l’attuale portata di pericolosità. Si è giunti ormai a questo, purtroppo. Si è giunti all’assurdo che l’accreditamento dei Protocolli dei Savi di Sion non abbisogna di una riedizione tipografica perché la menzogna portata da quel racconto trionfa in una diffusa tradizione orale».

Stefano Parisi: «È così. L’antisemitismo diffuso e crescente si nutre di ignoranza e falsi luoghi comuni. Il sionismo è considerato un processo coloniale e ne vengono stravolti i valori e la portata storica. Israele diventa così l’occupazione da parte degli ebrei della Palestina come risarcimento per la Shoah. Storici divulgatori che negano la storia nelle loro conferenze davanti a migliaia di giovani. La verità ormai si perde nella schifosa pratica ideologica della propaganda antisemita. Le Università occidentali ne sono travolte. I luoghi del pensiero critico, del rispetto del confronto scientifico, della ricerca dell’eccellenza e dei valori liberali, sono diventati luoghi di sottomissione alla cultura woke, alla violenza verbale, alla negazione del merito e del valore scientifico».

Iuri Maria Prado: «È il problema dei problemi. Se è vero che ogni insorgere della foga antisemita è determinato da menzogne e rappresentazioni contraffattorie, e se è vero che lo strumento per combattere queste virulenze è l’informazione, la contestazione puntuale di quelle bugie, il non cedere alla prepotenza del maligno falsario, è altrettanto vero che oggi quest’attività di contrasto culturale e civile appare insufficiente e, anzi, direi recessiva davanti alle quotidiane e gravissime manifestazioni di antisemitismo neppure troppo mascherato cui dobbiamo assistere. Se nell’Europa che fu della Shoah gli ebrei devono nascondersi e non farsi riconoscere, mentre si spiega che ad adunare le folle che strillano di “genocidio” non è nient’altro che il legittimo risentimento contro la “Entità sionista” (“ma per carità non è antisemitismo”), vuol dire che quel lavoro di riordino della verità merita un impegno supplementare quanto urgente».

Stefano Parisi: «Certo. E il compito di Setteottobre è quello di dare voce a tutti coloro che si ribellano per quanto sta accadendo. Contrastare nel dibattito pubblico il crollo dei valori occidentali e la loro sottomissione alle culture dell’intolleranza, dell’odio e della morte. Provocare nei giovani il dubbio, stimolarli a porsi delle domande, a non prendere come dogmi qualunque idiozia che trovano sui social. È un lavoro duro, difficile, ma dobbiamo unirci a tutti coloro che vogliono difendere la nostra democrazia e la nostra libertà. E bisogna farlo in ogni luogo di dibattito, anche internazionale. Si pensi che negli ultimi 9 anni l’assemblea generale ha espresso 141 condanne contro Israele, 39 contro la Russia, 10 contro la Siria, 8 contro la Corea del Nord e 7 contro l’Iran. Per conto delle Nazioni Unite lavorano persone squalificate, che propalano odio e antisemitismo, sulla base di falsità raccontate a piene mani. L’ONU opera a Gaza da 70 anni con UNRWA che alimenta l’odio contro gli israeliani ed è diventata organica ad Hamas. Ogni giorno dal 7 ottobre fino alla risoluzione per il cessate il fuoco di lunedì scorso, l’ONU ha lavorato solo per indebolire Israele e allontanare qualunque prospettiva di tregua».

Iuri Maria Prado: «Il capitolo della cooperazione internazionale è forse il più infame in questo scenario di verità ribaltate. La popolazione palestinese è gravemente sofferente: ma dovrebbe essere chiaro che gli aiuti, che debbono essere assicurati, leniscono sofferenze causate innanzitutto da chi ha fatto di Gaza una gruviera di tunnel e della popolazione civile la materia passiva offerta in sacrificio alla “resistenza”. Tutto questo non significa in nessun modo rinunciare all’analisi ed eventualmente alla condanna delle scelte esecutive israeliane. Ma occorre che un punto sia chiaro. Le democrazie possono commettere errori e persino crimini: ma sono una cosa diversa rispetto ai regimi costituzionalmente criminali. E soprattutto: denunciare gli errori commessi da una democrazia non può voler dire lasciarla in balìa di chi vuole distruggerla ed estirparne il popolo dal fiume al mare».