La città più bella del mondo in mani capaci e ambiziose sarebbe un parco giochi per il mondo intero, e i romani sarebbero tutti ricchi sfondati senza doversi sbattere più di tanto. Invece, Roma versa in uno stato comatoso, incapace di fare passi avanti e di capitalizzare, nelle tasche dei romani, l’enorme interesse che riscuote nel mondo intero.

I grandi hotel delle migliori catene stanno arrivando (dai nuovi Bulgari, Edition, Six Senses, a quelli di prossima apertura, come Nobu, Mandarin, Four Seasons, Starwood), e i fondi immobiliari stanno riaprendo i loro uffici nella Capitale, dopo anni di scorpacciata milanese che ha prodotto una città assai moderna, ma anche un po’ troppo esclusiva.

Qualcosa dunque sembrerebbe muoversi, a Roma. Ma ahimè mancano del tutto i servizi, e anche questa giunta sembra paralizzata da problemi politici e scarsa ambizione. I problemi restano lì, sulla strada, in ottima mostra, ben visibili agli occhi di romani e turisti. Che allibiscono, sotto il sole che porta la temperatura anche oltre 40 gradi, a farsi un’ora in coda per attendere un introvabile taxi, cimentandosi con un problema che esiste solo in Italia. Gli americani in particolare, che quest’anno invadono la Capitale d’Italia, ti guardano esterrefatti quando gli spieghi che a Roma Uber praticamente non esiste. Per loro (come per me, d’altronde) è inconcepibile per tante ragioni, tutte sacrosante. Qui invece il Sindaco non riesce nemmeno a emettere nuove licenze perché si inalberano i titolari delle vecchie, e al massimo autorizza le doppie guide della stessa licenza, ma non basta affatto.

Piazza del Popolo, Stazione Termini, Fiumicino propongono centinaia di persone in coda sotto 40 gradi, ma se si parla di liberalizzare la lobby dei tassisti si inalbera e la politica recede. D’altronde, quando lo incontrai al Foro Italico, e gli chiesi di fare qualcosa (“Guardi che i taxi sono troppo pochi, e chi viene a spendere a Roma rischia di non tornare”), il Sindaco Gualtieri mi disse, placido: “Ma no dai, i taxi a Roma si trovano”. Mah… Sulla sporcizia anche siamo fermi al palo. La criticità sui rifiuti resta ostaggio di follie ideologiche anti progresso.

Ancora oggi del termovalorizzatore si sa poco e niente, salvo che la responsabile Ambiente del Pd a guida Schlein è contraria. Speriamo che il Sindaco se ne freghi e tiri dritto, rischiando anche, se serve, e doti la capitale di un’infrastruttura capace di rendere Roma pulita e produttrice di energia. Ieri uno studio professionale in Prati si è visto multare di 180 euro da Ama perché una sua carta intestata era in un sacco dell’immondizia non differenziato: “Dunque il sacco è vostro e voi inquinate”, è il motivo della multa. Siamo alla prova indiziaria esercitata da un’azienda municipale con un tasso di assenteismo stellare (17%), il cui risultato di gestione è incarnato dai cumuli di monnezza che piacciono solo ai gabbiani-boeing che a Roma imperversano insieme ai cinghiali a 10 milioni di topi (bando del 2020 per la derattizzazione ancora al palo), e un cui dipendente è stato ieri condannato perché andava a prostitute con l’auto di servizio (straordinaria la sua difesa: “Portavo caffè alle lucciole e in cambio loro tenevano pulita via Cristoforo Colombo”).

Dopo quasi due anni di consiliatura insomma la situazione resta la stessa di sempre, e una città dalle mille potenzialità non le traduce in atto per carenza di ambizione: il Colosseo, il monumento forse più bello e famoso al mondo, incassa al massimo 53 milioni di euro l’anno. Il museo di scienze naturali di New York, 240 (quasi 5 volte tanto). Nella differenza ci sono tantissimi posti di lavoro cui rinunciamo per incapacità di far fruttare i nostri beni culturali, imbrattati -ironia- da Ultima Generazione cui il Partito Democratico del Sindaco imbrattato va a portare, sempre a Roma, la solidarietà fuori dalle aule dove giustamente vengono processati. C’è qualcosa che non sappiamo fare, a Roma, se raccogliamo così poco, e quindi se offriamo cosi poche opportunità di lavoro a chi ci vive.

E cosa si è fatto, di concreto, per cambiare il vergognoso stato della burocrazia romana, che sotto la giunta Raggi costringeva un imprenditore alberghiero ad attendere due anni per avere il permesso di aprire un varco nella parete e rendere così comunicanti due palazzi, uno dei quali affittato a 35mila euro al mese, e ristrutturato per ampliare il suo hotel adiacente (assumendo così 40 persone che ha poi dovuto congelare visto che il Comune non gli dava il nulla osta per finire l’ampliamento)? Niente.

A Roma, oggi, la pubblica amministrazione più lenta e cara d’Italia (viste le addizionali regionali e comunali che ogni romano paga, oltre l’Irpef nazionale) a chi chiede una carta d’identità per il proprio figlio prescrive sei mesi di attesa. È civile pagare tante tasse per questi servizi? Insomma, la città più bella del mondo, che avrebbe tutto per attrarre capitali, eventi, e dispensare ricchezza e posti di lavoro a pacchi, resta nel limbo di chi potrebbe correre come una Ferrari, e sceglie invece di scorrazzare come una vecchia Cinquecento. Che peccato.