Forse l’idea della compresenza dei vivi e dei morti è l’unica “fede” in cui possiamo ancora credere: un intellettuale irriducibilmente laico come Manganelli provò a immaginare Dio come un “luogo”, in cui da sempre tutti incontrano tutti, e che nessuno può affollare. C’è un filo rosso invisibile che collega i viventi con i viventi vissuti. E solo attraverso questo filo rosso noi riveniamo a contatto con parti sepolte della nostra affettività, e ci abituiamo a non considerare questo universo come “unico”, anzi lo trasformiamo in un multiverso, come pure ritiene la fisica moderna.
Il lettore mi perdonerà questa premessa vagamente teologica per parlare di un romanzo recente, ma la letteratura è anzitutto una forma di conoscenza e rivelazione, e anzi è il tentativo di “collaudare” idee e fedi entro storie, personaggi concreti, destini riconoscibili. In Psycho Killer (Perrone) Amy Pollicino, che scrive serie televisive, insegna sceneggiatura – e qui è al suo terzo romanzo – mette in scena la tipica personalità maschile narcisista del nostro tempo attraverso una sapiente fusione di generi (mélo, noir, gotico, commedia), affidando la “salvezza” del suo protagonista al dialogo con i morti. Michele Amaro è un manager 45enne, cinicamente efficiente e intellettualmente raffinato (con un fondo malinconico-dark: ama i cimiteri come Dylan dog), da dieci anni executive producer di un network televisivo italiano, e poi docente di scrittura all’università. Irresistibile seduttore, ha capito come funziona il meccanismo della seduzione, basata su una specie di autoanestesia emotiva.
Lungo il romanzo ha due relazioni: con Lina, moglie di un suo vecchio amico ora caduto in disgrazia, e con la giovane allieva Giovanna: prima le conquista con una dolce brutalità legandole a sé per sempre, poi le rifiuta all’improvviso, con altrettanta brutalità. Le due donne spariscono misteriosamente, mentre sul terrazzo di casa gli appare il fantasma di Scott Fitzgerald. Ha un’altra relazione con Rose, che incontra solo in un albergo, l’hotel Quirinale di via Nazionale (dove Scott Fitzgerald ambientò una scena di Tenera è la notte), noto per aver ospitato Mascagni e Verdi e per essere stato luogo di trastullo di alti gerarchi fascisti. A ciò si aggiunga la presenza di un commissario di polizia un po’ gaddiano, il Dottore, finissimo psicologo con ambizioni letterarie, che indaga sulla morte di una nobildonna romana. Le apparizioni di Scott Fitzgerald, quasi l’Humphrey Bogart di Woody Allen, si moltiplicano. Lo scrittore americano – uomo “di una bellezza fanciullesca, vulnerabile, delicata”, e dallo “sguardo azzurro” – gli dirà, mentre contemplano la luna in terrazza, bevendo Martini: “Guardati, sei freddo. E tutto quello che è freddo è fermo, non produce vita. Vuoi sapere cosa ti manca”. E poi di seguito : “A te manca il desiderio”. L’idea di presentare Scott Fitzgerald come fantasma benefico, è particolarmente felice: quella oscillazione tra luccicante mondanità e risentita misantropia ne fa un mentore ideale per il protagonista, gli rivelano il suo impoverimento affettivo (la letteratura è appunto rivelazione).
La vicenda di Michele Amari dice la verità segreta di ogni libertino, fissata una volta per tutte da Baudelaire nella sua poesia su Don Giovanni agli inferi: la coazione a sedurre incessantemente tutti gli altri al fine di non essere sedotto, di non abbandonarsi mai al rischio di innamorarsi, di essere catturati, e dunque per proteggere – illusoriamente – un io personale sentito come debole, minimo, sofferente (si tratta della rimozione della propria parte “femminile”). Nella inviolabile “innocenza” di Scott Fitzgerald, che ne fa il più grande scrittore americano del ‘900, si rispecchia in modo liberatorio quello del protagonista. Da lì affiorano altri fantasmi e ricordi, tra cui quello – decisivo – della sorella Elena, scomparsa 25 anni prima, ma qui ci fermiamo per evitare spoiler.
In Psycho Killer (unico difetto del romanzo è forse solo il titolo, un po’ fuorviante) la descrizione degli ambienti lavorativi è perfidamente esatta. Il ritratto di Michele Amaro, quintessenza della personalità narcisista – sognante e di un realismo feroce, gentile e manipolatore – è sociologicamente perfetto. Ricorda certi personaggi sinistri di Easton Ellis (American psycho), anche se in lui l’“istinto omicida” resta trattenuto. O meglio: è un “assassino” di relazioni.
Infine il romanzo – tenuto sul delicato crinale tra fatti reali e fatti immaginari, e scritto in una prosa accurata e al tempo stesso affabile – ha una morale, sia pure non didascalica: Michele “guarisce” dalla propria “freddezza”, sostituendo le fantasticherie narcisistiche, (secondo Bonhoeffer “Dio non ama le fantasticherie”), con la realtà, che è anzitutto relazione, relazione con gli altri – con i vivi e con i morti – attraverso una accettazione della propria stessa fragilità, che condividiamo con gli altri esseri umani. Il bene è dare realtà agli altri, farli esistere: “Quanto fa male il vuoto che lascia chi scompare, che noi stessi facciamo scomparire, pensò”.
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