Ho trascorso la settimana leggendo e guardando tutte le notizie nelle lingue che comprendo ed ho imparato a guardare la guerra russa in Ucraina non come facciamo in genere con l’idea di due squadre che sì picchiano finché qualcuno porta a casa la vittoria. Le guerre durano tempi che non sono quelli programmati da chi le ha iniziate: quando gli americani invasero l’Iraq non avrebbero immaginato di finire in un pantano pluriennale e in una sconfitta. Oggi i russi dopo solo sei mesi di guerra non ricordano più con quale obiettivo hanno iniziato l’invasione del 24 febbraio. Secondo un vecchio detto, nessun piano militare sopravvive al contatto col nemico.

Eppure, lo scopo della guerra era quello di ridurre l’Ucraina al ruolo di “buffer State”, uno Stato cuscinetto che separi la Grande Russia dal mondo occidentale, perché alla Russia non basta essere il più grande Paese che occupa un ottavo delle terre emerse. La Russia reclama il diritto ad una speciale protezione e distanze e zone di influenza che sono tipiche degli imperi e non del mondo moderno. La Russia, ha dato per scontato che tutti coloro che parlano russo fossero russi nell’anima, circostanza che la guerra non ha confermato. Non si sono mai viste manifestazioni di giubilo tra gli abitanti ucraini di lingua russa e nemmeno una pallida imitazione del trionfo che i romani dedicarono al generale Clark quando sfilò con i suoi carri Sherman davanti al Colosseo fra i baci e piogge di fiori.

Oggi sappiamo che a Mosca e San Pietroburgo il più forte partito d’opposizione è quello delle madri dei ragazzi chiamati per il servizio militare, inghiottiti in un inferno da cui cercano di fuggire abbandonando armi e mezzi. La guerra stessa è diventata uno scontro fra i più costosi pezzi d’artiglieria e le armi americane usate dagli ucraini – gli Himars, che sembrano più potenti e precise di quelle russe. Malgrado quel che in Occidente molti pensano, la qualità della vita genera manifestazioni di piazza che la polizia ha ordine di reprimere cercando di evitare violenze clamorose.

Gli analisti considerano questa recente moderazione come un segno della fragilità di Putin di fronte al circolo dei potenti che non intende perdere la faccia di fronte alla diplomazia internazionale. Non manifestano in piazza soltanto i contrari alla guerra, ma pure gli ultranazionalisti seguaci di Dugin i quali, dopo l’attentato che è costato la vita a sua figlia reclamano per la vittoria almeno altri 180mila uomini addestrati. Nessuno, neanche al Cremlino o a Kiev, è in grado di prevedere come finirà, se finirà e quando. Anche questa guerra, come tutte quelle che l’hanno precedute, seguono la “legge di Tucidide”: scoppiano quando l’uso perverso delle parole diventa irreversibile e proseguono secondo leggi sconosciute della loro fisiologia e patologia negli armamenti, i loro infarti, la fame e la sete degli uomini e delle macchine.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.