A Vitalij Klyčko non si può chiedere di essere pacifista. Il sindaco di Kiev incarna più di ogni altro ucraino la figura del combattente, prima sul ring – è stato campione del mondo dei pesi massimi – e poi nella vicenda politica, in cui ruolo pubblico e impegno militare sono inscindibili. Il suo dialogo con i pacifisti e con i movimenti nonviolenti però è iniziato. Infrangendo una parete che pareva invalicabile. La breccia ieri, all’interno dei suoi uffici, nelle sale dell’imponente Municipio di Kiev. Grazie all’invasione – pacifica, ci mancherebbe – di sessanta volontari italiani provenienti da associazioni e organizzazioni diverse.

Lo sguardo di Klyčko guarda oltre la cronaca quotidiana, prova a tracciare una prospettiva per il futuro. Parla di diritti e di stato di diritto, della scelta della libertà e dell’adesione alla Ue come scelta di campo per la pace. Racconta di come l’Ucraina abbia rinunciato nel 1994 alle armi nucleari che si era trovata a possedere dal 1991. Di come sia necessario smettere di sparare, riprendere una vita fatta di convivenza tra le culture e le fedi. Basata su un incontro di civiltà. Ed è un primo passo che promette bene, se nel vocabolario belligerante riescono a entrare le parole e perfino le idee del disarmo. Sia pure rivolto ad un dopoguerra auspicabilmente vicino, da inserire nel processo di integrazione europea dell’Ucraina.

Se riescono a tornare in campo le costruzioni della politica contro le distruzioni delle bombe. E’ un dialogo complesso, difficile da costruire finché l’emergenza rimane costante e il bilancio delle vittime così alto. Le posizioni sono diverse ma il presupposto è uno: trovare un punto di mediazione. “Non sarò pacifista ma pacificatore”, ci dice Klyčko incontrandoci a margine di un discorso che ha tenuto, più da statista nazionale che da sindaco, per gli attivisti per la pace. Eccola, la politica.

 

Costruire uno Stato nuovo, pacifico ed europeo, ha detto poco fa nel suo intervento parlando agli attivisti per la pace. Metterebbe l’aggettivo pacifico in primo piano?
L’Ucraina è stata costruita sulla base della pace. Non ha mai aggredito nessuno. Ha un esercito di sola difesa, non partecipa a missioni internazionali. Nel 1991, alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, ci siamo ritrovati con un arsenale nucleare che era il terzo al mondo, perché qui c’erano i siti di stoccaggio delle bombe atomiche sovietiche. Abbiamo deciso di non volerle tenere. Avremmo potuto, ma no, grazie. Nel 1994 le abbiamo mandate a Mosca, firmando un accordo che a fronte di quella devoluzione garantiva per sempre il rispetto dell’integrità territoriale ucraina. Sapete come è andata a finire.

 

Tuttavia è con il nemico che bisogna trattare la pace. La pace è un compromesso, talvolta doloroso ma necessario.
La pace necessita di una condizione, di un prerequisito. Smetterla di uccidere centinaia di migliaia di cittadini civili innocenti e inermi, per esempio. Senza un cessate il fuoco non c’è tavolo possibile. Se domani uno Stato straniero invade la Sicilia, cosa dite voi italiani? Va beh, trattiamo?

 

Dunque non tratterete su concessioni territoriali?
Siamo pronti a parlare. Siamo pronti a trattare. Vogliamo che la Russia si ritiri dal nostro territorio nazionale. Da quel momento, uscito l’ultimo soldato russo, si aprirà il tavolo per la pace e noi siamo disposti ad ascoltare le richieste dei russi, le proposte dei negoziatori, e a fare quello che riterremo possibile pur di avere la pace.

 

Qual è il significato di questo evento? Avete accolto nella sede del Municipio i pacifisti italiani ed europei.
Siamo felici di accogliere chi viene a Kiev e di ascoltare le idee dei nostri fratelli europei. Tutti coloro che supportano il nostro desiderio di essere accolti nella famiglia europea qui sono i benvenuti. A me fa piacere che vedano Kiev, che vedano con i loro occhi il dolore e i danni che ci hanno inferto i russi. Ascolto le loro ragioni, ed espongo le mie.

 

Che non sono pacifiste.
Sono pacificatrici. Vogliamo smettere di usare le armi. Non appena possibile. In Europa qualcuno si è convinto, perché l’arma più forte dell’esercito russo è la propaganda, che bisogna mostrarsi deboli per rasserenare Putin, per trattare meglio con lui. Attenzione, è un errore. Per trattare con la Russia bisogna mostrarsi forti. Putin non parla il linguaggio della pace che sento oggi da voi. Conosce il linguaggio della forza. E merita una risposta forte, per poter uscire dalla crisi e non rimanerci a lungo.

 

Il movimento dei nonviolenti europei raccomanda di evitare il linguaggio dell’odio. Lei odia i russi?
Mia madre è russa. E dunque è russa la metà del mio sangue. In famiglia abbiamo parlato russo per quarant’anni. Secondo lei posso odiarli? Ce l’ho con il regime di Putin e con i suoi generali, che oltre all’esercito con gli scarponi comandano quello delle tastiere. La loro propaganda parla di noi con odio.

 

Qual è il suo rapporto con l’Italia, invece?
Abbiamo relazioni con i sindaci dell’Anci, con il sindaco Decaro, con il sindaco di Firenze, Nardella e con quello di Roma, Gualtieri. I comuni italiani ci sono vicini con una rete di solidarietà, e a questo proposito, agli italiani, che ringrazio per la loro generosità, chiedo di mandare non tanti vestiti, che abbiamo, ma farmaci, medicinali, beni di utilità sanitaria. Bende, garze, antibiotici, antidolorifici. E sono ben accetti i volontari del mondo della sanità che vogliono aiutare i nostri ospedali alle prese con nuove migliaia di feriti al giorno.

 

Alla politica italiana cosa chiede?
Chiedo di aprire gli occhi sulla propaganda russa, di andare a manifestare davanti alle ambasciate e ai consolati russi di tutte le capitali europee chiedendo la pace, subito. L’unità rompe la guerra. E cosa intendo per unità, se non lo spirito europeo?

 

A Mario Draghi cosa direbbe?
Appena questo incubo finirà, avremo bisogno dei vostri talenti. Di imprese italiane che vogliano investire qui per la ricostruzione, di urbanisti, ingegneri e architetti – insieme alle ditte di costruzione – che ci aiutino a rimettere in piedi il Paese. Mi piacerebbe molto un tocco italiano nel futuro di Kiev.

 

Kiev è pronta per accogliere il Papa, che auspica di realizzare qui un suo prossimo viaggio?
Sì, certamente. Siamo pronti ad accoglierlo come sicurezza e macchina organizzativa. Una sua visita qui darebbe un segnale fortissimo proprio per realizzare quella pace della quale stiamo parlando insieme oggi qui a Kiev con i pacifisti italiani e con il Nunzio Apostolico della chiesa cattolica. Sarebbe un grande onore, una grande emozione riceverlo.

 

 

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.