Massimiliano Smeriglio, europarlamentare del Pd, già Vice presidente della Regione Lazio, è tra quei politici, purtroppo in via di estinzione, che hanno il coraggio di andare controcorrente. E a Il Riformista spiega perché lui è dalla parte di Luca Casarini, che ha proposto a interventisti e pacifisti, di andare a Kiev tutti insieme a manifestare.

Silenzio sulla stampa mainstream e in una politica che, con rare eccezioni, ha calzato l’elmetto e indossato la divisa militare: perché la proposta lanciata sulle pagine de Il Riformista da Luca Casarini, e che Il Riformista ha fatto sua, imbarazza, anche nel Pd?
Luca merita tutta la nostra stima, fa quello che dice, dice ciò che fa. In questo momento è sulla Mare Jonio per continuare a garantire il soccorso in mare a chi scappa dai lager del Nord Africa. Mentre altri di Mediterranea insieme agli attivisti della Sinistra civica ecologista e della rete pragmatica sono al confine tra Polonia ed Ucraina a portare solidarietà concreta alla popolazione sotto attacco. Chi ha responsabilità di governo è giusto che, in una situazione così delicata, abbia un atteggiamento estremamente cauto. Per tutti gli altri dovrebbe valere uno sforzo emotivo più alto, e quello che propone Luca lo è. Non dobbiamo avere paura di discutere e dobbiamo cercare la strada più rapida che conduce alla pace. In questo senso la proposta di Luca è coerente e sfida tutti a metterci non solo la voce, ma il corpo. Mi hanno colpito le grandi firme del giornalismo italiano, gran parte progressiste, che hanno senza indugio indossato l’elmetto. Imponendo per questa via una comunicazione di guerra che spaventa. In guerra muoiono le persone, muoiono gli ucraini sotto assedio. Qui rischiamo di mortificare il pensiero critico e la libertà d’espressione. Le grandi firme continuino pure ad argomentare moschetto alla mano, ma la smettano con la caccia all’untore. Chi è Putin non va spiegato ai pacifisti che lo combattono da sempre, ma ai leader politici di mezza Europa e agli imprenditori che con lui hanno flirtato per un ventennio.

Una volta stabilito chi, in questa guerra, è l’aggredito e chi l’aggressore, il Governo italiano, col sostegno pressoché unanime del Parlamento, ha deciso d’inviare all’Ucraina aiuti militari. È questa la strada da perseguire o ce ne sono altre per dimostrare solidarietà all’aggredito?
L’aggredito è il popolo ucraino, l’aggressore è Putin. Ciò detto sinceramente penso sia sbagliato continuare ad inviare armi sul teatro di guerra. Ce ne sono abbastanza. Tra l’altro, ascoltando Zelensky, mi pare siano altre le richieste della resistenza ucraina, in particolare la no-fly zone. Richiesta legittima per chi sta sotto le bombe e impossibile da fare se non si vuole avere la responsabilità di generalizzare il conflitto. Delle due l’una. O facciamo ciò che ci chiedono i resistenti oppure agiamo un’agenda diversa, quella che riteniamo più utile per arrivare al cessate il fuoco. A volte la questione delle “armi al Mir” (formula non proprio fortunata visto purtroppo come andò a finire col Cile alle prese allora con un’altra vocazione imperiale, quella statunitense sull’America latina) appare più un corpo contundente nel dibattito interno che un aiuto concreto per chi resiste sul campo, che appunto chiede altro. Penso invece che dovremmo concentrarci sui corridoi umanitari, sull’accoglienza di chi fugge, sul sostegno alimentare a chi resta, su sanzioni economiche sempre più dure, e sul tenere aperti i canali diplomatici. Sono indispensabili per tornare a trattare.

Da europarlamentare, come valuta l’atteggiamento fin qui tenuto dall’Europa?
Penso come il filosofo che la salvezza è nel luogo del pericolo. Dopo la pandemia e la guerra, l’Europa deve fare un salto politico verso l’unificazione delle funzioni strategiche. Come dice Letta una nuova costituente che modifichi i Trattati per abolire il diritto di veto e avere subito l’unione delle politiche energetiche e di difesa comune. E per farlo deve avere il coraggio di imporre una propria agenda autonoma, diversa e distinta da quella atlantica. Il coraggio di dire che l’alleanza con gli Usa e Uk è strategica, ma che gli interessi europei non sempre coincidono con quelli nordamericani. Ad esempio l’Europa può accelerare il processo di adesione all’Unione dell’Ucraina proprio mentre il presidente Zelensky dichiara impraticabile l’adesione alla Nato.

Altra critica sollevata dai pacifisti riguarda la decisione del Governo, sostenuta a larghissima maggioranza dal Parlamento, di portare al 2% del Pil la spesa militare. Lei come la vede?
Purtroppo sono accordi presi in sede Nato. Ciò detto il combinato tra guerra, sanzioni e aumento dei prezzi delle materie prime può essere devastante anche da noi. È una scelta sbagliata in un momento sbagliato dettata dalla emotività del contesto. Non incide sulla guerra in corso e toglie risorse li dove andrebbero messe, welfare, lavoro, transizione ecologica.

In questi giorni così intensi, ho riletto la celebre intervista che concessa da Enrico Berlinguer a Giampaolo Pansa per il Corriere della Sera, il 15 giugno 1976. Si era in piena Guerra Fredda. Il segretario del Pci, il più grande partito comunista dell’Occidente, disse una cosa che lasciò il segno: “Mi sento più sicuro sotto l’ombrello della Nato”. Oggi è ancora così?
In realtà Berlinguer fu piuttosto preciso e disse, “Noi ci vediamo costretti a rivendicare all’interno del patto Atlantico, patto che noi non mettiamo in discussione, il diritto dell’Italia di decidere in modo autonomo del proprio destino”. Ecco mi sembrano parole non solo condivisibili per ieri, ma piuttosto profetiche anche per l’oggi. E io le condivido. Con un’unica postilla: più che l’Italia allargherei la riflessione all’Unione Europea. C’è bisogno di un’Europa forte, autorevole, indipendente energeticamente, con una propria agenda, con intelligence e difesa comuni, capace di una azione diplomatica autonoma, credibile. Serve in generale e servirebbe per fermare il conflitto. Chi riuscirà a far dialogare le due parti svolgerà un ruolo decisivo nel dopoguerra. Per questo Cina, Turchia e Israele stanno tentando. L’Europa ha il dovere di tentare la strada della ripresa del dialogo.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.