Gentile Direttore, tu non lo sai ma io rimugino giorno e notte questa storia che hai così bene introdotto sul pacifismo e l’invasione dell’Ucraina. Seguito a raccomandare ad amici e meno amici di non usare la parola “guerra” che è una specie di cassonetto per l’indifferenziata e di adottare quella più autentica di “invasione”. Non è la stessa cosa dire “abbasso la guerra!” e “abbasso l’invasione”. Ne conseguono comportamenti diversi. E mi tornano in mente due fatti di cui si è persa la memoria emotiva: l’invasione tedesca della Polonia, seguita subito dalla fraterna invasione della stessa Polonia da parte dell’Unione Sovietica, e la rivolta del Ghetto di Varsavia dove per la prima volta gli ebrei che si erano lasciati arrestare senza ribellarsi, e farsi portare al mattatoio piangendo in silenzio, strapparono le armi – proprio le armi, le mitragliatrici e le bombe a mano – ai loro carnefici.

Hitler esponeva le sue ragioni in un modo che oggi torna di moda. Il cancelliere tedesco disse: rivoglio con me tutti i tedeschi che avete isolato con il trattato di Pace di Versailles, e li rivoglio tutti insieme. I vincitori della Grande Guerra, che aborrivano l’idea di una nuova guerra, considerarono che tutto sommato il tedesco non aveva tutti i torti. E gli lasciarono prendere l’Austria, i Sudeti e via via tutto lo spezzatino che era stato promosso principalmente dal presidente americano Wilson che durante la sua lunga permanenza a Parigi si era preso una brutta forma di “influenza spagnola” che lo aveva incattivito nei confronti dei tedeschi, cosa che scandalizzò il giovane ecomomista Keynes il quale faceva parte della delegazione inglese e che se ne tornò in patria protestando contro un atteggiamento idiota che avrebbe sicuramente portato a una seconda guerra. Come fu. Putin rivuole non l’Unione Sovietica, lo ha detto ogni giorno e basta andare ad ascoltare i suoi discorsi, volendo sottotitolati in inglese, perché ripete in tutte le salse che rivuole l’impero: tutto quel territorio che negli ultimi secoli è appartenuto a Pietro il Grande, all’imperatrice Caterina e a Stalin, per diritto della Storia.

Dice Putin “è tutta roba nostra”. Niente ideologie, pura questione identitaria patriottica, ma imperiale. Secondo lui la Grande Russia è stata umiliata con lo sembramento dell’Unione Sovietica ed è arrivato il momento in cui recuperi e mostri al mondo il rispetto che merita. Così si è ripreso la Bielorussia come Stato vassallo, ha invaso la Georgia, si è preso la Crimea, poi il Donbass e il resto è sotto gli occhi. Strumento d’uso: la violenza praticata attraverso la forza militare. Obiettivo: tornare più grandi e più forti che pria. Ideologicamente promuove un’alleanza contro i valori occidentali che dichiara “decadenti” (dove l’avevamo già sentita?) e ha riportato i suoi concittadini all’età delle caverne, ovvero quando non c’erano ancora il bancomat e Internet. Ora, quando Hitler (alleato militare di Stalin con cui aveva stipulato i protocolli segreti di un pacifico “trattato di non aggressione”) attaccò la Polonia dopo aver fatto inscenare vari incidenti di frontiera, accusando i polacchi di essere guerrafondai rabbiosi e averli invitati a una civilissima resa incondizionata, tutto il mondo Occidentale se la prese con i polacchi i quali – pensate che arroganza – impiegavano la cavalleria contro i carri Panzer. Parigi e Londra rimasero interdette avendo garantito alla Polonia di entrare in guerra se fosse successo ciò che stava realmente accadendo, e quindi recapitarono le dichiarazioni di guerra evitando però di andare davvero in soccorso dei polacchi che restarono col naso per aria aspettando gli aerei inglesi e guardando se fra i cespugli comparissero i carri armati francesi. Niente. Le cose andarono come sappiamo.

Ma, ecco il fatto inatteso: tutte le sinistre mondiali legate all’Unione Sovietica scesero in strada rumorosamente per gridare “No alla guerra”. A quale guerra? Forse quella dell’invasore tedesco? Ma no, per carità! Manifestavano contro la guerra dichiarata dalle democrazie occidentali contro la Germania. Fu un periodo buio e poi sepolto nella memoria affinché nessuno avesse più ben chiaro quel che era successo e che abbiamo più volta ricordato dalle colonne del Riformista, benché si tratti di fatti non controversi e tuttavia censurati. Ciò fino al 22 giugno del 1941 quando Hitler dette la pugnalata alle spalle dell’alleato e invase l’Urss. Sui libri di storia russi, ancora oggi, non si parla di una inesistente Seconda guerra mondiale, ma della Grande Guerra Patriottica cominciata solo in quel mese di giugno del 1941. Ciò che era accaduto prima, doveva essere occultato, ridicolizzato, negato e il negazionismo ancora resiste. Prova ne sia che oggi si dichiarano pacifisti non interventisti e decisamente contrari a regalare armi difensive agli ucraini non solo persone di specchiata morale e coerenza ideale che comprende il garantismo e l’obiezione contro la giustizia punitiva. Oltre queste specchiate persone, si aggiungono tutti coloro che in un modo o nell’altro tifano per la causa imperiale di Putin. Il quale non è affatto matto, Non è un mostro, ma è l’ultimissimo rampollo di una stirpe dimenticata e che credevamo estinta, quella dei nostalgici degli imperi. Ce ne sono in Giappone, ce ne sono nel Regno Unito, ce ne sono certamente in Austria, ma avevamo perso l’abitudine di considerarli vivi e armati con molta voglia di menare sia le mani che le testate nucleari.

E invece, ecco lì: il Paese più grande del pianeta Terra, che va dalla Polonia al Giappone, non contento della sua spropositata enormità accredita come un diritto quello di tollerare come stati confinanti soltanto quelli che abbiano rinunciato alla loro sovranità e vivere a testa china in “aree di influenza”. Che fare? Lasciar fare, oppure obiettare? Questo è un problema delle singole coscienze, Ma, ripeto, non si dovrebbe parlare di alcuna guerra in cui tutti i gatti sono bigi, tutti belligeranti, ma di invasione: ci sono gli invasori e ci sono gli invasi. Come mai, tanta ostilità di fronte a una situazione che è sotto i nostri occhi? Io penso che ci sia un grande elemento di vanità, almeno da parte di alcuni. L’idea della marcia su Kiev di stranieri che vanno in casa dell’aggredito sicuri di essere ricevuti come saggi ospiti venuti a riversare sulle teste già ferite degli aggrediti la loro saggezza, è bizzarra e anche narcisista. Diciamo meglio, un po’ razzista: “Noi siamo eticamente superiori a voi, gente brutale che sa soltanto imbracciare armi, e siamo venuti a proteggervi dalla vostra ottusità con la nostra pregiata presenza morale che vi farà da scudo umano”. Possiamo dire che è oltre che improbabile, anche molto presuntuoso. E poi, confesso, non capisco, e sì che ce l’ho messa tutta, il rifiuto a concedere armi di difesa sostenendo che comunque sempre di armi si tratta e che alla fine servono ad uccidere e che se si seguita ad uccidere, la guerra (e ridài) non finirà mai.

Io ho una mentalità infantile che è il mio limite ma che fa di me un idiota mondo da retorica. Vediamo: un carro armato da trenta tonnellate venuto dall’estero per sfondarti la casa con il suo peso e il suo cannone, è certamente un’arma aggressiva e distruttiva. Un razzo anticarro capace di fermarlo è certamente un’arma difensiva.
Lo stesso dicasi per i cannoni o i missili che possono essere usati soltanto per abbattere i missili offensivi e gli aerei che sganciano bombe. Chi non vede la differenza etica, oltre che materiale? Chi può decidere che l’aggredito non deve muovere un dito e deve cercare di dar il minor fastidio possibile mentre muore, sicché la sua inerzia aiuti il processo di pace che avverrebbe in un riservato brusio diplomatico? Non lo capisco. I diplomatici fanno quel che dicono loro i governi, i quali governi operano sul campo secondo un unico metodo che consiste nel rispondere alla domanda: mi conviene, non mi conviene. Ripeto: riconosco di essere un primitivo e un ingenuo, ma conosco piuttosto bene la storia e la geografia e lo stato attuale di quel che accade e perché accade e come accade e che cosa può accadere, secondo le diverse varianti possibili. E vorrei tanto, lo giuro, affiancarmi agli entusiasti pacifisti (cui peraltro nessuno dà dei codardi, tutt’altro) e dir loro: compagni! mi ero sbagliato, avevate ragione voi, vengo anch’io. Penso risponderebbero no, tu no, ma quello sarebbe un problema secondario.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.