Non sembra all’altezza della tragedia in cui la Storia l’ha cacciato Volodymyr Zelensky. Non è scappato a fine febbraio, chapeau. È rimasto sotto le bombe insieme agli ucraini e questo non glielo toglie nessuno. Eppure, nonostante piazzi ogni tanto una battuta ben calibrata e abbia una sua personale capacità di guardare sempre a filo telecamera, sembra poter soltanto ripetere dichiarazioni già preparate prima, come se nessuna notizia, nessuna telefonata, nessuna riunione nel frattempo intercorsa possa avere un effetto sul suo ragionare e possa indurlo a modulare la reazione. Come se non fosse in grado di adattare in corsa i suoi testi. O come se non ne avesse facoltà.

Anche ieri, non aveva ancora finito di dire buon giorno in Tshirt verde a Macron, Scholz e Draghi (e Klaus Ioannis, presidente romeno) appena arrivati in Ucraina per vederlo e parlargli di come fare per arrivare a una pace con la Russia senza aspettare altri mesi e senza contare altri morti, che già consegnava la lista delle richieste: bene che siete qui ma a noi servono armi pesanti e moderne. Testuale Zelensky in conferenza stampa: “Ci serve aiuto, ogni arma è una vita umana salvata e ogni proroga aumenta la possibilità per i russi di uccidere gli ucraini”. Ora, a parte l’opinabilità dell’ultima frase, sta di fatto che i tre capi di governo, francese tedesco e italiano, erano lì a dirgli quel che Zelensky sa già da settimane. In sintesi: il tanto agognato ingresso in Europa è a portata di mano per l’Ucraina (“L’Ucraina nella Ue rafforza la libertà europea” ha detto Draghi ed anche “non vedo ancora i margini per la pace”) ma prima è necessario arrivare a un accordo per far finire la guerra. E per fare un accordo è con la Russia che si deve trattare. E per trattare bisogna cedere qualcosa, anche se si è l’incolpevole paese aggredito, bisogna cedere almeno qualcosa di quell’integrità territoriale ucraina che (è stato fatto notare con la crudele levità del linguaggio diplomatico) è già persa da prima del 24 febbraio perché la Crimea è sotto dominio russo da quattro anni e l’est filorusso in parte pure.

Tradotto: caro Vlado, nessuno dubita che l’Ucraina entrerà a pieno diritto nell’Unione europea, ma il cammino è lungo, tortuoso e potrebbe anche non riuscire mai a concludersi. Come presidente dell’Ucraina tu ti puoi sentir libero di puntare i piedi e non cedere un millimetro di terra a Putin, sicuro di avere dalla tua parte un intero popolo disposto a morire per un angolino di Donbass, ma noi invece non siamo liberi di far pagare ai nostri paesi il prezzo che questa guerra ci sta causando e non possiamo non voler evitare la carestia alimentare mondiale che della guerra è conseguenza. Infine, il muto affondo: quindi molla qualcosa, sennò in Europa metterete un piedino ma non entrerete mai davvero a pieno titolo. Tutto il dietro le quinte del governo ucraino ieri era furioso per questo. Già Macron mercoledì in visita in Romania aveva detto: “Il presidente ucraino e la sua equipe dovranno trattare con la Russia”. E nonostante questa frase sia stata opportunamente preceduta dall’accenno a “quando i combattimenti saranno finiti e l’Ucraina avrà vinto”, moltissimi hanno sentito in queste parole l’eco della raccomandazione di Macron sul “non umiliare Mosca”.
Perché umiliare il Cremlino non è utile, non perché non possa essere considerato giusto. È il contrario di quel che serve per arrivare a un accordo sul cessate il fuoco, visto che il fuoco è fuoco russo.

Niente da fare, nonostante l’evidenza semplice del buon senso espresso da Macron, quella prima frase ha scatenato reprimende indignate in mezzo mondo. E la seconda frase è rimasta lì appesa. L’obiezione è sempre la stessa: è noi ucraini che stanno attaccando, non possiamo accettare nessun accordo che preveda la cessione di territorio, se lo facessimo la Russia tornerebbe ad aggredirci nel giro di un paio d’anni. Il messaggio diplomatico di Francia, Germania e Italia è stato comunque consegnato, con toni e parole che non usciranno certo dal palazzo presidenziale di Kiev per come sono stati pronunciati. Ai giornalisti italiani a Kiev Draghi ha detto: “La premessa per la pace per gli ucraini è l’integrità territoriale. Deve essere una pace giusta e sostenibile. E tutti gli altri Paesi devono aiutare questi due Paesi a trovare la pace. C’è stata la telefonata di Xi a Putin (è notizia di ieri che ce ne sarà un’altra in estate, fonte Bloomberg su informazioni dell’amministrazione americana ndr) , ci sono altri colloqui, c’è tutta un’iniziativa diplomatica mondiale che non c’era un mese fa”. “Le condizioni che gli ucraini pongono oggi è l’integrità territoriale. È la premessa per iniziare i negoziati di pace da parte ucraina. Al momento non si vedono margini, ma c’è un atteggiamento che è cambiato molto nelle ultime settimane”, anche “degli altri Paesi che li devono aiutare a trovare la pace. C’è un’iniziativa diplomatica mondiale che non c’era un mese fa”.

“Devono essere gli ucraini a decidere cosa va bene per l’Ucraina. Una pace forzata, ammesso che sia possibile, è solo generatrice di nuovi conflitti. Non credo sia comunque possibile e realistica oggi”. Tra le ipotesi rimaste sospese ieri ci sarebbe quella di cedere una parte del Donbass per permettere a Putin di portare a casa qualcosa ma con una formula tollerabile per Kiev. In ballo c’è sempre la Crimea (russa da anni), un funzionario francese ha detto alla Cnn che Kiev dovrebbe recuperarla ma non è detto sia questa la posizione di Macron. L’iter per l’ingresso dell’Ucraina della Ue è avviato. Oggi Bruxelles presenterà la sua proposta di dare all’Ucraina e alla Moldavia lo status di paese candidato all’ingresso, accompagnato da condizioni i cui dettagli erano ieri ancora da stabilire. E saranno i leader europei nel vertice del 24 e 24 giugno a dare il loro (primo) sì.

Tutto ciò avviene mentre le fanfare dalla propaganda, a Mosca come a Kiev, continuano il loro lavoro. L’ex presidente russo ed ex delfino di Putin, Dmitry Medvedev, twittava pensierini delicati del tipo: “I fan europei di rane, salsicce di fegato e spaghetti” vanno a Kiev “con zero utilità”. Prometteranno all’Ucraina “l’adesione all’Ue e vecchi obici, si leccheranno i baffi con l’horilka (vodka locale ndr) e torneranno a casa in treno, come cento anni fa. Tutto va bene. Ma non avvicinerà l’Ucraina alla pace. Il tempo scorre”. Mentre Zelensky si preparava a ricevere a palazzo presidenziale gli ospiti europei, era in corso a Kiev una votazione on line per derussificare la toponomastica dell’Ucraina: sbianchettare i nomi delle strade dedicate a Mosca e a Anton Checov. Povero Checov.