Il governo Draghi rompe il tabù sul “tetto al prezzo del gas”, quel price cap o prezzo calmierato a livello europeo che dovrebbe portare come effetto immediato il taglio netto delle bollette. Tutti i 27 paesi europei, dopo tre mesi di no, hanno capito che poiché sul fronte dell’approvvigionamento delle fonti di energia nulla o quasi sarà più come prima anche quando tonerà la pace, hanno convenuto che l’idea di Draghi fosse alla fine quella giusta.

Più in generale i 27 hanno detto sì all’embargo del petrolio russo in arrivo via mare. Sarà un divieto graduale (a partire da gennaio 2023) che esclude il flusso in arrivo con l’oleodotto “dell’amicizia” che copre soprattutto il fabbisogno di Ungheria e Slovacchia. Ma l’Europa unita ieri è riuscita a firmare un documento su cui sherpa e ambasciatori lavoravano inutilmente dal 4 maggio e che fino a lunedì mattina sembrava impossibile. Perché impossibile era trovare un accordo che mettesse d’accordo falchi antirussia, i paesi più vicini alla Russia e la fascia dei neutrali tra cui Italia e Francia.

È sempre difficile fissare il punto della vittoria o della sconfitta delle riunioni del Consiglio europeo. Le sfumature di grigio, in questo caso e su certi temi, possono essere infinite. Ieri però anche i più scettici hanno dovuto ammettere il successo. Della Ue. E del governo Draghi. “Siamo soddisfatti per i risultati ottenuti in questo vertice” ha detto il premier intorno alle 16 nella conferenza stampa conclusiva a Bruxelles. Ed essendo uno che non ama gli aggettivi e meno che mai le iperbole, le parole valgono per il loro oggettivo significato. Siamo ancora lontani da quel “federalismo pragmatico europeo” – cioè capacità di decisione e azione rapida, che Draghi ha più volte auspicato– però questo Consiglio straordinario ha fatto il passo più concreto dopo quello rivoluzionario con cui nell’autunno del 2020 fu deciso di sottoscrivere il debito comune del Next generation Ue.

Il price cap al prezzo del gas e più in generale sul capitolo strategico delle politiche energetiche, se vogliamo, è un’altra assunzione di responsabilità collettiva. “L’azione dell’Ue sull’energia si svilupperà su molti fronti – ha spiegato il premier – sul funzionamento del mercato dell’energia e sui prezzi alti l’Italia è stata accontentata. La Commissione ha ricevuto ufficialmente mandato per studiare la fattibilità del price cap”. Era fine marzo quando su questo stesso punto i 27 andarono in ordine sparso con un clamoroso nulla di fatto. I tre mesi di guerra, la consapevolezza che sull’approvvigionamento delle fonti di energia l’Europa tutta non potrà mai più essere ostaggio dei gasdotti e dell’oleodotti russi ha cambiato prospettiva, priorità e strategie. Come il governo Draghi aveva spiegato a gennaio quando la guerra non sembrava ancora un’opzione possibile ma la schiavitù di Gazprom era già intollerabile (“frustrante” ha detto il premier) e l’andamento dei prezzi insostenibile.

Così come è un “successo completo” l’embargo al petrolio russo. “Immaginare di essere uniti su un accordo che sostanzialmente mette l’embargo su circa 90% petrolio russo era fino a qualche giorno fa improponibile. Oggi lo possiamo dire e direi che si tratta di un successo incredibile”. Certo, è stato tenuto conto della specificità di Ungheria e Repubblica Ceca (che continueranno per tutto il 2023 ad approvvigionarsi grazie all’oleodotto dell’Amicizia). Ma ancora lunedì pomeriggio, quando i 27 sono entrati nella Nuvola di palazzo Europa, la stessa presidente Ursula von der Leyen era “scettica” circa la possibilità di arrivare ad un accordo. Che invece è arrivato alle 23 e 50 minuti di lunedì 30 maggio come ha cinguettato via twitter il presidente Michel.

Qualche analista tende a sminuire la portata dell’accordo che in fondo cambia poco visto che tra sei mesi, a gennaio 2023, quando scatterà tutti speriamo che la guerra sia finita. Altri aggiungono che tra gas e petrolio l’Europa continua a finanziare Gazprom e quindi il governo russo e quindi la guerra (un miliardo di euro al giorno all’inizio della guerra, via via sempre meno). Il premier denuncia il “grande imbarazzo e la frustrazione” che ogni volta si registra per questo motivo al tavolo dove siedono i capi di stato e di governo dei 27. Ma “purtroppo non è possibile fare altrimenti”. Consapevoli di questo, a maggior ragione il Consiglio straordinario che si è concluso ieri è “una svolta” nelle politiche europee perché segna un punto di non ritorno rispetto ad un’Europa che ha deciso di non essere più ostaggio di un paese solo (in questo caso la Russia) ed è avviata spedita sulla strada della diversificazione e delle rinnovabili. Impensabile fino a tre mesi fa. Draghi ha rassicurato: “L’Italia non sarà penalizzata dall’embargo al petrolio russo”. Nel senso che, essendo una misura che riguarda tutti i 27, non ci sono le condizioni per fare speculazioni.

Procede bene anche un altro dossier strategico per l’Italia e per il governo Draghi: quello relativo allo sblocco dei 22 milioni di tonnellate di cereali che se non saranno recapitate a breve in Africa e nel sud est asiatico provocheranno una crisi alimentare, umanitaria e subito dopo civile e migratoria. In Europa, per l’appunto. Qui è più difficile dire quale sia stato il passo avanti concreto. “Intanto l’Europa sta procedendo al trasporto via ferrovia ma è una modalità lunga e costosa – ha spiegato il premier che ha rifatto il punto delle comunicazioni negli ultimi giorni con Putin, poi Macron e Scholtz e lo stesso Zelensky. Il problema sono le mine. “La priorità adesso è sminare i porti”. Chi ha messo le mine adesso è quasi secondario, “tutti e due, russi e ucraini, ovviamente dicono che è stato l’altro, fatto sta che è pieno di mine. La garanzia che gli ucraini chiedono è che non ci siano attacchi dei russi. Serve uno sforzo militare diplomatico logistico molto importante. La Ue collaborerà con le Nazioni unite che hanno iniziato a lavorare su questo dossier, soprattutto per la sicurezza alimentare, prima degli altri”. La cosa importante è stoppare subito la narrazione, specie in Africa, che la mancanza di grano è figlia delle sanzioni che l’Occidente ha imposto alla Russia. “Eh no – si è scaldato Draghi – è vero esattamente il contrario: il grano manca per colpa della guerra”. Combattere la guerra ibrida della propaganda è un altro fronte caldissimo. E difficile. Per tutti i leader europei.

Ecco perché ancora una volta Draghi è stato chiaro ed esplicito. Il sostegno militare, umanitario, economico e politico al governo Zelensky resta totale e incondizionato. Ma non basta. “Il Consiglio europeo – ha spiegato Draghi – ha ribadito come Putin non possa e non debba vincere questa guerra. L’Ucraina sarà quella che sceglierà la pace che vuole perché una pace forzata non sarebbe sostenibile”. Da qui anche il monito sulle sanzioni, compreso il sesto pacchetto approvato ieri. Che avranno “il loro massimo impatto sull’economia russa nei mesi estivi e in avanti”. Quindi, guerra o meno, le sanzioni saranno lunghe e i governi di tutta Europa si stanno attrezzando per conviverci. Nulla, dopo questa guerra, sarà più come prima. E anche le alleanze economiche saranno profondamente riviste.

È generoso di parole, Draghi. Accetta molte domande e anche due alla volta (cosa che in genere chiede di evitare). Segno che l’umore è alto. Non si fa disturbare dal Salvini-gate. Nello specifico chiede che “i rapporti (tra faccendieri diplomatici ed ambasciate, ad esempio, ndr) siano trasparenti”. In generale questo governo “da quando si è formato, è fermamente collocato nell’Ue e nel patto atlantico. Su questo binario si è sempre mosso e continuerà a muoversi, allineato con gli altri partner del G7 e dell’Ue. Questo è quanto e non si fa spostare da queste cose”. Ed è attento alle parole. Confonde, ad un certo punto, gas e petrolio (il consigliere Giuliano lo riprende subito ma Draghi ci scherza su). Ma quando un giornalista gli chiede se per il suo futuro si aprono le porte della guida della Nato, il premier è lesto e risoluto: “No e no”. L’ha fatto una volta di dire che era “un nonno al servizio delle istituzioni”. Non capiterà più.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.