Mosca manda lettere ai “paesi ostili” per l’avvio della procedura per il pagamento del gas in rubli. Il gas perde il 6,7% al TtF olandese, l’hub di riferimento in Europa. L’Europa ribadisce che non accetterà alcun ricatto sul gas e compatta le posizioni. Erdogan parla di un incontro Putin-Zelensky e di una “data che sarà resa nota dopo la mia telefonata con il Cremlino”. Segnali, tanti e tutti contraddittori. Fumosi e ambigui come la storia di questi ultimi mesi. Forse anni.

Occorre molto sangue freddo per gestire questa battaglia sul gas che è una faccia della guerra tra gli uomini. Ed è anche, certamente, una guerra di nervi. Ne serve tanto, a tutti i livelli. Diplomatico e, soprattutto, anche, mediatico-comunicativo. Mostra sangue freddo il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani cui palazzo Chigi ha giustamente affidato il compito di fare un punto di chiarezza in questo giallo del gas. Il rischio del taglio del gas esiste, è reale, ma in realtà non conviene soprattutto a Putin. Che dal conto suo canto bluffa come un navigato gambler al tavolo della Storia. “Inizialmente – ha spiegato Cingolani – il presidente Putin aveva detto che avrebbero accettato solo pagamenti in rubli per le loro esportazioni di gas. Ma questo avrebbe infranto i contratti con gli importatori europei che sono firmati con valuta europea o dollari”.

Il testo del decreto
Da 24 ore gli uffici legali stanno spulciando riga per riga il decreto firmato giovedì pomeriggio dal presidente russo. Secondo il testo, “si richiede agli importatori europei di avere due conti in Russia, uno in euro e l’altro in rubli. Si pagherebbe in euro e poi in una banca russa non soggetta a sanzioni (sono due, tra cui Gazprombank, ndr) cambierebbe questi euro in rubli e li metterebbe sul secondo conto intestato a Gazprom. A questo punto l’importatore darebbe l’ok per il pagamento”. Se le cose fossero realmente così, “tutto sommato non cambierebbe molto”.

Si tratterebbe di una modalità che salva capra e cavoli, la grandeur di Putin (dà seguito alla minaccia del pagamento in rubli) e le casse del suo stato (l’Europa verso ogni giorno circa 800 milioni per la fornitura di gas russo) ma anche l’economia europea che dipende per il 60% del suo fabbisogno dal gas russo. Il problema è che i legali delle compagnie degli idrocarburi in Europa e quelli dei vari governi sono alle prese da giovedì sera con la decrittazione del decreto russo. Dove ogni parola può essere tutto e il suo contrario. “È chiaro – ha spiegato Cingolani – che se ci fossero elementi adesso non ancora chiari che andassero contro le sanzioni o contro gli impegni contrattuali, le cose si potrebbero complicare. Al momento non sembra così”.

La trappola
Una trappola potrebbe essere, ad esempio, al punto 7 del decreto. “L’obbligo di pagamento da parte del compratore di gas – si legge – (ad esempio l’Eni, ndr) si considera compiuto solo quando i rubli sono trasferiti al conto di Gazprom”. In questo dettaglio si può annidare la diavoleria. Mentre i fondi passano da euro a rubli e poi dai rubli “nostri” – dei compratori per intendersi – ai rubli del venditore può capitare qualche improvvisa svalutazione o repentina rivalutazione rispetto all’euro. Qualcuno può giocare sul cambio del rublo che negli ultimi 40 giorni è stato una specie di ottovolante. E guadagnarci molto. O perderci molto. In questo caso, chi si accolla le perdite? Chi i guadagni? Non c’è dubbio che modificando l’articolo 7 – ad esempio bloccando la valutazione del rublo al momento dell’acquisto – sarebbe tutto più chiaro. Ma chi è in grado in questo momento di spiegare a Putin una cosa del genere? Siamo sicuri poi che la voglia capire e che, invece, non l’abbia pensata apposta così?

Trappola numero 2
La seconda trappola sta nel passaggio del decreto in cui una speciale Agenzia dello stato dovrà “entro dieci giorni” stabilire la lista dei paesi ostili. Lista che, da quel si capisce, sarebbe soggetta a periodiche valutazioni. Questo si chiama ricatto. Dove il vero obiettivo, evidente, è spaccare il blocco europeo una volta preso alla gola con il cappio della carenza di gas. Quell’Europa che tante volte Putin ha visto distratta e divisa e che non solo ha reagito compatta ma ha anche fatto muro con gli Usa e la Nato. Un Occidente coalizzato è un nemico che Mosca non può reggere a lungo. Chi finirà quindi nella black list dei paesi ostili a Mosca? Ad esempio, che farà Orban, alle prese domenica con il quarto mandato, che già nei giorni scorsi ha detto: “Io non affamo il mio popolo e continuo a comprare il gas russo”? Che vuol dire finanziare la guerra di Putin.

Decisive sono le telefonate continue tra Parigi, Bruxelles, Berlino, Roma, Madrid. Ieri pomeriggio Bruxelles – dopo il vertice con la Cina dove Xi ha auspicato che Cina e Ue “lavorino insieme per stabilizzare un mondo turbolento” – è stato ribadito che “i governi europei sono compatti” nel rifiutare il ricatto di Vladimir Putin di pagare in rubli le forniture di gas. I contratti, hanno spiegato fonti vicine al dossier, “devono essere osservati e rispettati e valutati nelle valute previste. Cioè euro e dollari”.

La guerra di nervi
Mentre tecnici e legali studiano e leggono in controluce il decreto di Putin, il ministro Cingolani spiega anche che “al momento noi non corriamo rischi”. Si va verso la bella stagione, i consumi si abbassano. I contatti presi in questi due mesi con altri fornitori di gas assicurano la copertura del 30-40% del fabbisogno entro ottobre. Mancherebbe all’appello, oggi, circa 15 miliardi di mc di gas (su un totale di 29 che prendiamo dalla Russia). “Noi poi siamo avanti con lo stoccaggio che inizia nelle prossime settimane”. Purtroppo le ultime due gare per l’acquisto del gas sono andate deserte e i depositi non sono stati aumentati. Ma del resto, chi compra quando il valore è così fluttuante? Serve stabilità.

Ecco perché in queste ore palazzo Chigi sta tornando all’attacco con il price cap, il tetto al prezzo del gas che la scorsa settimana nel Consiglio europeo è stato messo in stand-by. È necessario in questa fase un meccanismo che a livello europeo blocchi la speculazione sul prezzo nell’hub olandese. Altrimenti diventa una guerra tra i 27. Che è esattamente ciò che vuole Putin. “Attenzione a non confondere le due cose – sottolinea una fonte di palazzo Chigi. Il price cap è legato alla gestione degli effetti del caro gas su cui c’è una forte componente speculativa. Altro cosa – e mi riferisco al decreto Putin – è l’atteggiamento da tenere con la Russia da cui non possiamo escludere ricatti o addirittura lo stop della fornitura”.

Da parte del governo comunque “non è in corso alcuna valutazione per l’attivazione dello stato di allarme relativo alla crisi energetica”. Lo staff di Draghi smentisce ogni ipotesi che sta circolando su social e media di varia natura su stati di emergenza o economie di guerra. “Permane – dice palazzo Chigi – lo stato di preallerta che comporta il costante monitoraggio della situazione”. Nel frattempo se ciascuno di noi facesse un po’ di economia nei consumi – ad esempio termosifoni spenti o molto abbassati soprattutto negli uffici pubblici – sarebbe un atto di civiltà.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.