Sei appuntamenti internazionali in un mese. Il settimo, il bilaterale a Berlino con il cancelliere Scholz, è in attesa di data ma dovrebbe cadere nello stesso periodo. E’ un’agenda fitta quella del premier Mario Draghi, tenuta insieme da un unico filo rosso: cercare una soluzione per mettere fine all’invasione della Russia in Ucraina. Per congelare un conflitto i cui effetti stanno coinvolgendo assetti geopolitici “vecchi” di 30-40 anni e disegnando nuove mappe e nuove alleanze sul delicatissimo dossier energetico. Un “nuovo mondo” di cui l’Italia rivendica il ruolo di protagonista e tessitore.

Il premier sarà oggi e domani a Parigi per un nuovo bilaterale con il presidente Macron e la cerimonia di apertura della Riunione Ocse. Lunedì e martedì della prossima settimana (13-14) Draghi sarà in Israele per un faccia a faccia con il premier Bennet. Il 23 e il 24 giugno è in calendario il Consiglio europeo che dovrà definire il sesto pacchetto di sanzioni, l’embargo al petrolio russo e valutare la fattibilità del tetto europeo al prezzo del gas. A ruota, il capo del governo sarà impegnato nelle Alpi Bavaresi (26-27-28 giugno, Schloss Elmau) per la riunione del G7e dovrà volare subito dopo a Madrid per il vertice Nato (29-30 giugno). Il 5 luglio è in calendario il bilaterale con Erdogan ad Ankara e il 18-19 luglio ad Algeri per il vertice intergovernativo Italia-Algeria. In questo incastro di date, e comunque prima della pausa estiva, resta da definire il bilaterale con Scholz a Berlino.

La sette tappe del Gran Tour di Draghi raccontano due cose: la data del 21 giugno, il voto del Parlamento sull’opportunità o meno di continuare ad inviare armi a Kiev, i distinguo di Conte e Salvini sembrano veramente un appuntamento residuale rispetto all’importanza strategica della missione della diplomazia italiana; la ricerca di una soluzione al conflitto russo-ucraino è in pratica l’unico vero punto all’ordine del giorno di palazzo Chigi (oltre alla realizzazione del Pnrr). Uno sforzo diplomatico che è anche la migliore risposta agli sproloqui dell’ex numero uno russo Dimitri Medvedev. La frasi apparse su Telegram dell’ex vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale russo“odio gli occidentali” e “farò di tutto per farli sparire” – levano ogni dubbio su chi ha torto in questo momento della Storia. La pace o almeno una soluzione della guerra in Ucraina è qualcosa che si costruisce certamente in due e con lunghi e lenti passi che percorrono strade tortuose. Draghi nel suo lungo viaggio terrà fermi i pilastri della politica estera nazionale – atlantismo e centralità dell’Europa – ma cercherà di ritagliare all’Italia un ruolo di rilievo nella crisi internazionale grazie ad una nuova prospettiva strategica per l’area del Mediterraneo la cui via maestra è la diversificazione delle fonti energetiche.

Ora qui il discorso, visto a 360 gradi, si farebbe complesso. Coinvolge gli ultimi vent’anni di politica estera russa, l’ingresso del Cremlino nell’Africa mediterranea (Libia ma anche Algeria) ed in quella subsahariana, negli Emirati e nella penisola araba. I rapporti sempre più stretti con la Turchia, la Siria e Israele. Non è un caso che in questi giorni l’Ufficio studi di Camera e Senato, in collaborazione con il Ministero Affari Esteri e l’Ispi abbia rilasciato un dossier intitolato “Mediterraneo allargato” che ricostruisce alleanze, il possente export di armi e brigate di mercenari deciso dal Cremlino in queste regioni. Tutte cose che è bene mandare a mente. Soprattutto nel dibattito che terrà banco da qui al 21 giugno. Per restare al presente, nel Gran Tour di Draghi diventano strategiche soprattutto due tappe: Israele e la Turchia, paesi che godono entrambi e anche oggi di un rapporto privilegiato con Mosca e che sono al momento necessari nell’ottica di un cessate il fuoco e dell’avvio di una mediazione. A Istanbul era stato convocato nei primi giorni del conflitto a marzo un tavolo di mediazione. Gli orrori di Bucha e dell’aggressione russa hanno poi congelato tutto. Da qui insomma bisogna passare per tentare di trovare una soluzione. Senza mai mettere in discussione la condizione regina: il rispetto della volontà di Kiev.

E’ ormai noto come l’approvvigionamento di materie prime – non solo fonti energetiche ma anche il grano – di cui tutta Europa scarseggia siano almeno da un mese la chiave usata da Draghi per esplorare oltre a soluzioni economiche anche tentativi di dialogo e mediazione. Da una parte si leva – alla Russia per liberarsi progressivamente del ricatto di cui tutta Europa si è ritrovata vittima – dall’altra si dà, ad esempio all’Algeria e ad altri paesi del centro Africa e della zona cuscinetto, rispetto alla Russia, del medioriente. Questo lo schema che si andrà a ripetere anche nei bilaterali a Gerusalemme (è in programma anche una tappa nei territori palestinesi) e ad Ankara. Il fatto è che negli ultimi decenni sono stati scoperti ingenti depositi di gas naturale nel Mediterraneo orientale, tra Israele e la Turchia, appunto. Alcune stime di studi geologici parlano di un potenziale di 10 trilioni di metri cubi di gas. Nei prossimi anni quindi Turchia ed Israele saranno protagonisti nello scacchiere energetico in quanto snodo per lo smistamento del gas in Europa.

E’ allo studio infatti un nuovo progetto di gasdotto sottomarino che dovrebbe collegare la Turchia al più grande giacimento israeliano, il Leviathan. Erdogan è favorevole perché si tratta di una “via del gas” alternativa ma non sostitutiva dell’altro progetto di gasdotto EastMed che taglierebbe invece Ankara fuori dalle rotte di approvvigionamento dell’Europa. La pipeline Leviathan risolverebbe parecchi problemi al mix energy italiano ed europeo. Un altro pezzo importantissimo di questa nuova mappa energetica è ovviamente l’Egitto. Si parlerà quindi di gas e di pipeline con i leader del Mediterraneo che in questi anni hanno più coltivato e stretto rapporti con Putin. La tregua e la mediazione tra Mosca e Kiev non possono che passare da queste che sono le tappe clou del Gran Tour del premier italiano. Tutto il resto – Parigi, Madrid, Bruxelles, G7 – sono momenti e passaggi altrettanto importanti, a loro modo problematici ma in qualche modo acquisiti dalla diplomazia occidentale. A cui è mancata però finora l’altra parte dell’interlocuzione: l’area del Mediterraneo.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.