Della giornata “più lunga e buia” per il governo Draghi resta alla fine, per usare la parole di un ministro di centrodestra, “una buona giornata riscaldata da tanti raggi di sole”. Due soprattutto: il via libera di Bruxelles al pagamento della seconda rata del Pnrr, un assegno da 21 miliardi staccato da Ursula von der Leyen che dice: “Complimenti Italia”. E il via libera ad un nuovo decreto semplificazioni, 41 norme pensate per raggiungere i 51 obiettivi fissati dal Pnrr a fine giugno 2022 da cui dipende il terzo assegno del Recovery fund.

Resta in primo piano l’angoscia per la guerra in Ucraina e le minacce sempre più agguerrite di Vladimir Putin e l’altra battaglia, tutta italiana al momento, per garantirsi nuove forniture di gas. Ma nonostante tutto questo, e la stanchezza anche fisica ben visibile sul volto di Mario Draghi, i leader del centrodestra di governo ieri mattina convocati a palazzo Chigi per l’indifferibile “resa dei conti sulla delega fiscale e sul catasto” hanno trovato un premier “lucido, pragmatico, per quanto possibile rilassato. Come sempre è stato a lui a condurre le danze portandole dove voleva”. E i leoni che per settimane hanno tuonato in Commissione Finanze, nei talkshow e sui giornali, sono diventati agnelli. Non pasquali, però. Cioè non destinati al desco della domenica santa. Anzi, lasciati liberi di uscire fuori da palazzo Chigi e dichiarare: “È andato tutto bene. Clima molto collaborativo. Draghi ha preso in considerazione le nostre richieste e ora i tecnici, subito dopo Pasqua, troveranno la quadra”. Matteo Salvini ha precisato: “Nessuno ha parlato di crisi di governo e siamo venuti qui con spirito costruttivo. Si cerca tutti insieme di andare avanti e non indietro”.

I giochi di parole sono tanti. Le notizie un po’ meno: la riforma fiscale e la riforma del catasto vanno avanti; Draghi non retrocede di mezzo passo perché – ha ripetuto anche ieri mattina a Salvini, Tajani, Lupi, Cesa e Marin – “questo governo non ha aumentato e non ha intenzione di aumentare le tasse”; non ci sarà nessuno stralcio ma solo “qualche approfondimento” sulla parte del cosiddetto “duale” (le aliquote su titoli di stato e affitti) e “mezza frase in più o in meno, vedremo come metterla” sull’articolo 6, cioè il catasto. La famosa “variante frasetta”. “Adesso si inizia a lavorare” ha detto un sorridente Salvini a favore di telecamere. Vedranno i tecnici del Mef come fare per dare la certezza anche lessicale che non ci sarà aumento delle tasse. Per ora almeno. Poi dal 2026 si vedrà. Anzi, sarà materia per chi sarà a quel tempo a palazzo Chigi. Una “formula aperta” suggerisce uno dei leader presenti che “sarà anche un buon cavallo di battaglia per la campagna elettorale”. Perché in fondo poi chiunque sarà a palazzo Chigi dopo le politiche del 2023 sarà l’unico vero arbitro del sistema fiscale. Di aumentare o diminuire la tassazione. O di lasciarla così come la trova.

“Quella sul catasto – ha spiegato il premier – è un’operazione di trasparenza, non significa aumentare le tasse sulla casa”. Nessun muro contro muro, ma la volontà esplicita di andare avanti con la riforma del catasto per renderlo più trasparente. In un clima descritto come “molto collaborativo” e da “confronto politico, e non scontro”, il presidente del Consiglio avrebbe inoltre ribadito la volontà di dare una mano al Paese continuando il lavoro avviato, perché l’Italia merita stabilità. Smentite così anche le voci che negli ultimi giorni avevano trovato spazio in alcuni retroscena su una crisi di governo nelle prossime settimane. Peggio ancora, sulla volontà di Draghi di volersi sfilare dall’incarico prima della fine della legislatura. Del resto, a poche ore dall’atteso vertice, martedì sera lo stesso Salvini aveva chiarito: “I problemi si risolvono, non è tempo di crisi di governo”. Alla fine ognuno ha avuto il momento di gloria che cercava e la propria bandierina da alzare: i leader sono stati ricevuti e ascoltati per un’ora e mezza; i mattatori che hanno alzato la bandiera, come i leghisti Bitonci e Gusmeroli, possono dire che “il rinvio e gli approfondimenti confermano che i temi che abbiamo posto, dal catasto all’aumento delle tasse sui risparmi, erano reali”. Il governo, che è la cosa più importante, va avanti dritto per la sua strada.

Di cosa stiamo parlando dunque da settimane? Di bandierine elettorali alzate ai fini di consenso politico e di posizionamento in un centrodestra sempre più diviso, sulle amministrative e le candidature, sulla guerra e il legame con Putin (reciso con nettezza da Forza Italia e Fratelli d’Italia e meno dalla Lega) e sulle elezioni francesi dove Salvini è l’unico a fare il tifo nettamente per Marine Le Pen. Sul catasto e sulla delega fiscale è successo un po’ quello che è successo la settimana prima con Giuseppe Conte e le spese militari: tanto rumore per nulla; una passerella mediatica a palazzo Chigi. Con la differenza che nei confronti di Salvini l’inner circle di Draghi (ministro Franco compreso) ha una sorta di maggiore tolleranza e comprensione rispetto all’esercizio della sua leadership incalzata, ormai superata, da Giorgia Meloni. Conte invece non ha mai digerito di essere stato scalzato a palazzo Chigi da Draghi. Un malessere di cui pare non riesca a fare mistero. Quasi ci fosse una regia – e non c’è stata – mentre i leader del centrodestra di governo lasciavano palazzo Chigi, Mario Draghi riceveva – finalmente – una buona notizia da Bruxelles: il pagamento della seconda tranche di prestiti/finanziamenti del Next generation Eu destinati all’Italia. “Buone notizie per l’Italia” scriveva su twitter intorno alle 11 e 30 Ursula von der Leyen. “21 miliardi e tanti complimenti”.

Si tratta della seconda rata erogata in base alla valutazione positiva della richiesta di pagamento presentata da Roma a fine dicembre e che ha certificato il raggiungimento dei 51 obiettivi previsti nel Pnrr per il 2021. La prima rata era stata erogata nell’agosto 2021 (24,1 miliardi). La buona notizia riporta in primo piano la vera mission del governo prima che scoppiasse la guerra. E su cui, nonostante varie difficoltà (come l’aumento del valore degli appalti dovuto all’inflazione e all’impennata dei prezzi delle materie prime), gli uffici del Mef non hanno mai smesso di lavorare. Il sottosegretario Roberto Garofoli ha continuato – e non è stato facile con tutti gli scossoni bellici – a monitorare i ministeri e gli enti locali che sono i centri di spesa e di realizzazione dei vari progetti più in sofferenza. Lo stesso Draghi non ha cancellato, nonostante gli impegni internazionali e il lavoro della diplomazia, le tappe nelle città per illustrate i benefici del Pnrr, da Torino a Napoli. Un lavoro che ha fatto emergere altre criticità nella macchina che deve mettere a terra gli obiettivi e i progetti del Pnrr. Da qui il decreto di 41 articoli approvato ieri sera dopo un lungo Consiglio dei ministri. Lo hanno chiamato “decreto Pnrr 2”.

Si tratta di una serie di misure per snellire alcune procedure legate alla messa a terra del Pnrr e mettere in salvo il tesoretto di 191,5 destinati all’Italia. Norme utili soprattutto per finalizzare entro la fine di giugno gli ulteriori 51 obiettivi del primo semestre 2022. Tra le norme ci sono anche quelle anti-evasione, in particolare l’obbligo di utilizzo del Pos per tutti gli esercenti, a cominciare dai tassisti per poi comprendere tutti i professionisti. Chi non lo usa, sarà soggetto a multa. L’obbligo in realtà esiste dal 2014, ma non la multa. Il decreto introduce anche nuove norme per l’assunzione dei dipendenti nelle pubbliche amministrazioni (in sofferenza, specie nei piccoli comuni, proprio per la messa a terra dei progetti del Pnrr). C’è anche il portale nazionale per la lotta al lavoro nero e l’obbligo per tutte le amministrazioni centrali di utilizzare la piattaforma InPa per i concorsi. Sempre nell’ottica di recuperare efficienza, fino al 31 dicembre 2026, le amministrazioni titolari di interventi previsti nel Pnrr, incluse le Regioni e gli enti locali, potranno conferire incarichi di consulenza anche ai pensionati. Purché titolari di competenze specifiche.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.