Draghi non vuole il voto sulle armi? Non è così: Draghi cerca il voto, sulla sua persona e sul suo governo. Ma non sull’invio delle armi, difensive, offensive, letali e non letali. Questioni ipocrite. Il presidente del Consiglio cerca e ottiene il voto di fiducia sul decreto concorrenza, uno dei milestone del Pnrr, che deve essere approvato entro fine giugno ed è in ballo da settembre dell’anno scorso. Un po’ come la delega fiscale.

È scattato l’allarme rosso ieri pomeriggio alle 17.40 quando palazzo Chigi ha convocato all’improvviso un Consiglio dei ministri con all’ordine del giorno “comunicazioni del Presidente del Consiglio”. Panico. Su qualche chat vicina ai 5 Stelle è volata anche la parola dimissioni. Il Parlamento si era svuotato dopo l’ora di pranzo e l’attesa informativa del premier Draghi sull’Ucraina. Una sorta di redde rationem per i 5 Stelle di Conte. Tutti via con i loro trolley nei vari collegi per la campagna elettorale. Anche nei dicasteri i non romani erano tornati a casa. Fino alla convocazione thriller.

Scuro in volto
Giallo risolto in venti minuti: “Il ddl Concorrenza è ancora fermo in Parlamento (al Senato, ndr) tra veti, distinguo e puntini sulle i – è il senso dell’intervento di Draghi. Intorno al tavolo del Cdm ci sono i capi delegazione, Andrea Orlando, Giancarlo Giorgetti, Renato Brunetta e Stefano Patuanelli. Si narra di un Draghi assai scuro in volto. In mattinata, durante l’informativa sull’Ucraina, aveva chiamato il sottosegretario Gilberto Pichetto Fratin che segue il dossier. “A che punto siamo?” gli ha chiesto. “Criticità sul punto 2, i balneari” era stata la risposta. Draghi ha incassato in silenzio. Ma il tempo della melina è concluso. Poiché il ddl Concorrenza è uno dei milestone del Pnrr e deve essere approvato dal Parlamento entro fine giugno per poi aver accesso alla terza tranche del Pnrr, il premier ha chiesto l’autorizzazione a mettere la fiducia. “Il lavoro di mediazione è importante ma adesso dobbiamo calendarizzare.

Il tempo è scaduto” ha detto Draghi. I ministri presenti non hanno avuto il minimo dubbio: o il ddl si sblocca e va subito in aula con un accordo blindato, oppure entro fine maggio sarà messa la fiducia. Pare che Draghi sia uscito dalla sala del Consiglio meno scuro e più sollevato. Di sicuro siamo davanti non ad una prova di forza ma di efficienza. “Questo governo dura finché lavora e fa le cose, non sono stato chiamato qui per galleggiare” ha ripetuto il premier nei vari passaggi stretti dei suoi sedici mesi di governo. Così, se qualche forza politica ha il prurito e la voglia di andare a votare, sa come fare. L’occasione l’ha servita direttamente il Presidente del Consiglio

Le riunioni a palazzo Chigi
Tra un dibattito sulle armi e qualche intemerata populista su pace e guerra, in queste settimane in realtà gli uffici di palazzo Chigi hanno continuato a lavorare con i tecnici dei vari partiti di maggioranza sulla delega fiscale e sul dl concorrenza, i due moloch che Draghi non riesce ancora dopo mesi a superare. E su cui anche il senatore a vita Mario Monti domenica scorsa, sulle pagine del Corriere, aveva usato parole dure. Della serie: se non ora, quando mai potranno essere abbattute le resistenze di lobby e categorie che da anni bloccano il paese almeno tanto quanto la burocrazia degli uffici e delle leggi?

A mettersi contro sono Lega e Forza Italia terrorizzati di essere cannibalizzati da Fratelli d’Italia che dall’opposizione può permettersi di capitalizzare il necessario pragmatismo/realismo dei due soci di coalizione che hanno deciso di entrare in maggioranza. Era stato raggiunto un patto meno di due settimane fa: alcune correzioni sulla delega fiscale nella parte della riforma del catasto così che Salvini e Berlusconi hanno potuto alzare la loro bandierina “avete visto, Draghi ci ha ascoltato” (in realtà non è cambiato assolutamente nulla). In cambio però il centrodestra di governo aveva promesso strada libera sul ddl Concorrenza. Ma la strada non si è liberata. E le resistenza sono continuate. Quindi Draghi si deve essere sentito preso in giro. Raggirato. Motivo per cui ieri ha deciso di andare non allo scontro. Ma a fare chiarezza. Su balneari, tassisti, ambulanti, ma anche su armi, pace e guerra.

L’informativa
E dire che l’informativa sull’Ucraina è stata un successo. Su tutta la linea. Tanto tuonò che piovve, recita l’adagio. Che calza a pennello per provare a tirare una sintesi dell’atteso faccia a faccia tra Mario Draghi e il Parlamento sul dossier Ucraina. Il “premier di turno” – come lo indica spesso Conte – che “snobba” il Parlamento e “sfugge agli obblighi istituzionali” (cit. Conte) è stato cinque ore in aula, prima al Senato e poi alla Camera, ha seguito altrettante ore di dibattito, è stato interrotto da una decina di applausi (in un discorso di circa venti minuti) e se ne è tornato a palazzo Chigi con un mandato ancora più ampio e forte degli stessi pilastri. L’azione del governo infatti si sta muovendo “monitorando la situazione militare sul terreno”, mettendo in campo una controffensiva “umanitaria, alimentare ed energetica”, sostenendo l’Ucraina, applicando sanzioni alla Russia, coltivando iniziative negoziali, diversificando le fonti energetiche e garantendo aiuti alimentari ai paesi più esposti.

Sono le direttive della risoluzione approvata a larga maggioranza a fine febbraio dopo l’invasione russa. “La risoluzione approvata a larghissima maggioranza – è stata la conclusione del premier davanti a ciascuna della due camere – ha guidato in modo chiaro l’azione di governo e ha rafforzato la nostra posizione a livello internazionale. Il governo intende quindi continuare a muoversi nel solco di questa direzione”. Poche e semplici parole, quasi ovvie, che hanno svuotato di ogni possibile intento ultimativo gli interventi dei vari gruppi. I 5 Stelle hanno proseguito nei distinguo lessicali con domande retoriche come quella della capogruppo Castellone: “Vogliamo continuare a parlare dell’invio di armi e di come scongiurare il rischio di una Terza guerra mondiale? O vogliamo avviare una nuova fase puntando sui negoziati? Gli italiani vogliono la pace. Non dobbiamo attendere che cada l’ultima bomba per far partire il dialogo”. Come se in questi tre mesi i leader europei non avessero cercato, ciascuno per i propri canali, a convincere Putin ad accettare un confronto negoziale.

Matteo Salvini ha calato la maschera dello statista e ha indossato quella del populista: “Chi vuole inviare le armi, lo dica, ne parli davanti alle fabbriche in crisi”. E ancora: “Italia, Germania, Francia e Santa Sede devono chiedere il cessate il fuoco”. La perla è stata questa: “Deve osare di più Presidente Draghi e vedrà che salverà vite e posti di lavoro”. Quando si sommano problemi veri ma diversi mettendoli in nesso di causalità, l’effetto non può che essere populista. Risposte semplici a problemi complessi. Fuori dal palazzo, un altro leader, Giuseppe Conte ha continuato a ripetere il suo mantra: “Sulle armi abbiano già dato, esigiamo il voto, vogliamo il voto”. Il voto poi arriverà, a fine maggio. E vedremo cosa farà Conte. Di sicuro finora non ha fatto nulla di tutto quello che – ordini del giorno, mozioni – un gruppo parlamentare può fare per avere un voto. Ma conviene prima soffermarsi sul discorso di Draghi assai gradito a Pd, Iv, + Europa, Fi, Fdi, e vari nomi pesanti del gruppo Misto. Uno su tutti: Pierferdinando Casini.

Sei pilastri e numeri da brivido
Il premier ha sviluppato l’intervento su sei questioni legate alla guerra in Ucraina: “Situazione militare sul terreno; conseguenze del conflitto dal punto di vista umanitario, energetico, alimentare”; sforzo italiano di sostegno all’Ucraina; sanzioni alla Russia; iniziative negoziali, azione di governo per la diversificazione energetica e per aiutare dal punto di vista alimentare i paesi più esposti. C’è un numero prima di altri che il premier riporta con tutta la sua gravità: “I satelliti hanno già individuato 9000 corpi in quattro fosse comuni nei dintorni di Mariupol”. Ed è solo Mariupol. E sono solo i satelliti. Il secondo numero sono gli sfollati interni (7,7 milioni) a cui vanno aggiunti i sei milioni che hanno lasciato l’Ucraina per andare nei paesi vicini. “Un cittadino su tre ha dovuto lasciare le proprie case”. In Italia ne sono arrivati 116 mila di cui 4 mila sono i minori non accompagnati. Quasi 23 mila studenti sono stati inseriti nelle scuole italiane. “Grazie al ministro Bianchi, al personale della scuola e a tutti i bambini e le bambine italiane per questa meravigliosa manifestazione di amore ed efficienza”. Siamo un paese “ospitale” e generoso: 800 milioni stanziati per assistenza profughi di cui 300 già erogati; 110 milioni per il governo ucraino per la gestione dell’emergenza; 26 milioni alle ong attive in Ucraina e nei pesi vicini; venti tonnellate di materiali umanitari già spediti. Lunghi applausi da tutto l’emiciclo.

La crisi alimentare
È lo scenario di rischio che attraversa tutta l’informativa. Russia e Ucraina sono responsabili di più del 25% delle esportazioni globali di grano, 26 paesi dipendono da loro per più della metà del proprio fabbisogno. Gli effetti più disastrosi riguarderanno soprattutto Africa e Medio Oriente. “Ho chiesto al Presidente Biden – ha detto Draghi – un’azione coordinata e condivisa per sbloccare immediatamente milioni di tonnellate di grano bloccate nei porti dell’Ucraina”. L’azione condivisa deve vedere al tavolo anche Mosca. Altrimenti non se ne fa nulla.

“Costruire una pace duratura”
La liberazione del grano è uno dei canali diplomatici che sono stati attivati. Ma tutta l’azione di governo è “alla ricerca di una soluzione negoziale” possibile solo perché l’Ucraina è riuscita a difendersi. L’Italia, ha spiegato il premier, “si muoverà a livello bilaterale, insieme ai partner europei e agli alleati per cercare ogni possibile opportunità di mediazione”. È in programma un bilaterale ad Ankara ai primi di luglio. “Ma è chiaro che solo l’Ucraina e nessun altro potrà decidere quale pace accettare”. L’obiettivo della Ue e della Nato deve essere la costruzione di una pace duratura. “Serve uno sforzo creativo ha detto citando il Presidente Mattarella. Il modello da seguire è quello di “una conferenza internazionale sul modello degli accordi di Helsinki del 1975”.

L’applauso più lungo e sentito dell’aula è arrivato quando Draghi ha detto di “aver riscontrato nei colloqui e nei viaggi internazionali un apprezzamento universale per la solidità della posizione italiana fermamente ancorata nel campo transatlantico e dell’Unione Europea. Questa posizione ci permette di essere in prima linea, con credibilità e senza ambiguità, nella ricerca della pace”. La stessa credibilità che pretende nell’azione di governo. E per cui ieri all’improvviso, strappando un po’, ha chiesto la fiducia sul ddl Concorrenza.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.