L’Europa è una polveriera nucleare pronta a esplodere. L’innesco è avvenuto con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ora il baratro nucleare è una prospettiva terribile ma reale. La parola a chi la guerra l’ha conosciuta da vicino, nelle aree più esplosive del mondo: il generale Mauro Del Vecchio. Ha guidato la Brigata Bersaglieri Garibaldi in Bosnia, Macedonia e Kosovo e poi la Scuola di Applicazione dell’Esercito. Da generale di Corpo d’Armata ha comandato il Corpo d’Armata di Reazione Rapida Italiano della Nato, e ha guidato le forze Nato in Afghanistan (Isaf) nel 2005-2006. Nel 2007 è stato nominato al vertice del Comando Operativo di Vertice Interforze (Covi).

“Provocando l’aggravarsi della crisi ucraina e scatenando un feroce confronto ibrido con la Russia, Washington e i suoi alleati stanno pericolosamente barcollando sull’orlo di uno scontro militare aperto con il nostro Paese, cioè di un conflitto armato diretto tra potenze nucleari”. E l’avvertimento lanciato nei giorni scorsi dalla portavoce della diplomazia russa, Maria Zakharova. Generale Del Vecchio è un bluff mediatico o c’è di che preoccuparsi?
La speranza è che si tratti di un bluff mediatico ma resta il fatto che il rischio di una deviazione verso il nucleare c’è. Ed iniziato nel momento in cui la Russia ha deciso di invadere e occupare una nazione, in spregio di qualsiasi norma internazionale. Questo è il casus belli che ci ha portato a queste condizioni. La portavoce russa fa riferimento ad un pericolo che è reale e che, insisto su questo, è stato innescato dall’aggressività di Mosca. Ma la signora Zakharova sa benissimo che nel momento in cui si verificavano quelle condizioni si sarebbe corso questo rischio. Di fronte al quale occorre che tutti dimostrino freddezza, lungimiranza, massimo senso di responsabilità. E questo vale in primo luogo per la dirigenza russa. Non esiste una soluzione militare alla crisi iniziata con l’invasione. Occorre fare ogni sforzo per aprire un tavolo negoziale e avviare colloqui di pace. Quanto agli altri paesi impegnati su quel fronte, hanno soltanto manifestato, giustamente, la necessità che l’Ucraina fosse messa nelle condizioni di potersi difendere, considerato l’enorme divario di capacità militari potenziali tra la Russia e l’Ucraina. Quando affermo che non esiste una soluzione militare al conflitto, debbo però aggiungere che senza la capacità di resistenza dimostrata dall’Ucraina, col necessario supporto esterno, non si parlerebbe più di pace ma di resa. In questa ottica, va dato atto ai paesi occidentali che pur coscienti di dover venire incontro all’esigenze dell’Ucraina, hanno operato una politica che permettesse agli ucraini di difendersi, e non altro. Le dichiarazioni della portavoce del ministero degli Esteri russo gettano altra benzina su un fuoco già alto e pericoloso. Non è così che si aiuta la ricerca di una soluzione diplomatica a questo conflitto.

Se, come da lei stesso sottolineato, la soluzione non può essere militare, bisognerebbe ricercarla nella diplomazia e nel compromesso. Un compromesso che però non può essere, oggi, il ritorno alla situazione pre-24 febbraio. In altri termini, generale Del Vecchio, per evitare una tragedia ancora più grande, quella nucleare, quale exit strategy può essere concessa alla Russia?
Senta, sappiamo perfettamente perché è nata questa guerra. Sappiamo che la Russia lamentava, e continua a farlo, un mancato “rispetto” dell’autonomia, delle libertà individuali, della popolazione russa del Donbass e delle altre regioni dell’est Ucraina. Le abbiamo vissute anche noi queste situazioni, ma non siamo arrivati a dichiarare guerra. Bisogna avere la forza di riconoscere le ragioni dell’altro, ricercare un compromesso tra le rispettive aspettative e interessi, con la consapevolezza, da ambedue le parti, che bisognasse rinunciare a qualcosa. Compromesso è una parola positiva, costruttiva, e non è certo sinonimo di cedimento. Io non sto negando che alcune delle lamentazioni della Russia non siano fondate. Probabilmente lo sono. Si mettano sul tavolo e si vedano quali cose bisogna fare perché questa situazione di guerra abbia termine e tutte le popolazioni possano essere soddisfatte di quello che hanno ottenuto. Non ci sono alternative. Soltanto in questa maniera si possono ottenere dei risultati. L’alternativa l’abbiamo sotto i nostri occhi…

Vale a dire?
Ciò che può provocare l’uso delle armi. Migliaia di morti civili, crimini di guerra, attacchi alla popolazione, alle città, agli ospedali…Se si vuole proseguire su questa sciagurata strada non sappiamo dove andremo a finire. Di certo, non sarà una bella fine. Occorre la massima lucidità e accortezza. Il che significa avere contezza che i pericoli di una escalation che arrivi al nucleare non sono campati in aria.

Partendo dalla sua esperienza sul campo, e dalle importanti responsabilità di comando da lei avuto in ambito Nato, le chiedo: l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza atlantica, non accentua quella “sindrome di accerchiamento” su cui Putin ha fin dall’inizio insistito per giustificare la reazione russa?
La richiesta d’ingresso della Nato da parte della Finlandia e della Svezia, accresce indubbiamente il senso di accerchiamento a cui lei ha fatto riferimento. Io vorrei però ricordare che la Finlandia e la Svezia sono sempre state portatrici dell’idea della neutralità. Il fatto che tutti riconoscano alle due nazioni queste caratteristiche positive, dovrebbe far ragionare la Russia su quello che sta accadendo. Se queste nazioni che sono sempre state all’avanguardia di ogni idea di neutralità, adesso sentono il bisogno di entrare nella Nato, beh, vuol dire che c’è qualcosa che non va. Vuol dire che è successo qualcosa di cui qualcuno deve assumersi la responsabilità. Il fatto che aumentino, in Europa, i paesi che hanno ragioni di astio nei confronti della Russia non è certamente positivo. Ma Mosca dovrebbe interrogarsi sul perché ciò accade, visto che, nel caso specifico, stiamo parlando di due nazioni, Svezia e Finlandia, su cui nessuno di noi avrebbe mai pensato che potessero di poter entrare in una parte militare piuttosto che dell’altra.

Della Nato fa parte, e che parte, anche un paese retto da un regime che certo non può essere preso a modello di rispetto dei diritti umani, di quelli delle minoranze e via elencando. Il riferimento è alla Turchia di Erdogan. Da uomo di campo ma anche da chi ha fatto anche una importante esperienza parlamentare, da senatore del Pd, il fatto che nel recente vertice Nato di Madrid, per ottenere il via libera di Ankara all’ingresso di Finlandia e Svezia nell’Alleanza atlantica, si siano venduti a Erdogan i curdi, gli eroi di Khobane, decisivi nella guerra allo Stato islamico, questo “baratto” lei come lo valuta?
Sono cose che fanno fare delle osservazioni amare. Io ho operato in Afghanistan insieme ai turchi, e così in Kosovo, e ne ho visto le capacità militari. Capacità che non sempre vengono impiegate per finalità condivisibili. Dispiace che si sia dovuti assumere una posizione contraria a delle istanze che possono e debbono trovare un giusto ascolto, come quelle dei curdi, in determinate circostanze. Evidentemente in questo momento il potere condizionante della Turchia è stato molto forte. Forse troppo.

Questa “Super Nato” non rischia di mettere ai margini l’Europa, per quanto riguarda il suo processo di rafforzamento, in termini politici e anche di difesa?
Il problema esiste, inutile nasconderlo. L’Europa ha una idea dell’alleanza che è ispirata da principi di rapporti amichevoli anche con chi non fa parte dell’alleanza stessa. L’accentuazione dei contrasti non fa bene all’Europa. Infatti i paesi europei sono quelli che mostrano un atteggiamento quanto più possibile aperto a qualsiasi soluzione che possa porre termine a questa tragedia. D’altro canto, l’Europa non ha una sua capacità autonoma di grande rilievo sotto l’aspetto militare, tale da poterle permettere di avere una voce molto forte in tavoli internazionali importanti. Da tempo si parla di un sistema di difesa comune europeo. C’è chi si spinge a evocare un esercito comune europeo. È mia convinzione che una forte componente militare europea potrebbe determinare un riequilibrio nelle situazioni che si possono creare. Mi auguro che questo possa avvenire, perché noi dobbiamo ricordare che negli ultimi anni i rapporti tra Occidente e Oriente su scala globale e anche nel nostro continente, si sono fortemente inaspriti. Vorrei ricordare che lo “Strategic Concept” della Nato, messo a punto nel 2010 per essere adesso rivisto, indicava nella Russia un potenziale partner strategico. Dopo la Guerra fredda, si era arrivati ad allacciare dei rapporti tali che la stessa Nato, nel progetto strategico in questione, prospettava una sorta di partnership di sicurezza che coinvolgesse Mosca. Adesso, invece, siamo arrivati al concetto strategico, quello venuto fuori dall’ultima riunione della Nato, per cui la Russia, alla luce di quello che è avvenuto, viene giudicata una minaccia significativa e diretta di tutti i paesi alleati. C’è stato un pericolosissimo cambiamento, che non è certo responsabilità dell’Europa e della Nato, che ha portato a un tornare indietro, a una situazione di grande tensione e pericolo tra Occidente e Oriente.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.