La guerra in Ucraina e le spese militari
“Costruire la pace con le armi arricchisce solo l’industria bellica, non siamo filo-Putin”, intervista a Francesco Vignarca
L’appuntamento è per sabato 23 luglio. I pacifisti tornano in piazza con una mobilitazione su tutto il territorio nazionale per rilanciare una forte di richiesta di cessate il fuoco affinché si giunga ad una conferenza internazionale di Pace. L’appello è promosso da Europe for Peace, l’iniziativa avviata a marzo con le manifestazioni contro l’aggressione russa in Ucraina, a cui aderisce un ampio arco di campagne, associazioni, sindacati. Tra le prime adesioni alla mobilitazione del 23 luglio, quella della Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD), di cui Francesco Vignarca è Coordinatore nazionale, oltre ad aver fondato Mil€x, Osservatorio sulle spese militari italiane. Lo abbiamo intervistato.
Pur di ottenere il via libera di Ankara all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, i leader dell’Alleanza atlantica hanno venduto a Erdogan i curdi. Come definirebbe questo baratto?
Difficile non considerarlo un tradimento di tutti quei principi che retoricamente vengono invece messi in campo a riguardo della guerra in Ucraina causata dalla criminale invasione russa. Anche la Turchia bombarda e occupa un territorio di un altro Stato… perché però in questo caso non viene considerato un atto inaccettabile? Lo stesso in questi anni è avvenuto in Yemen con l’Arabia Saudita… Alla fine è chiaro che a muovere le decisioni sono gli “interessi” (economici e politici) non la volontà di Pace. Che al contrario può essere costruita solo su politiche nonviolente, come cerchiamo di fare noi.
La Nato: soluzione o problema per la stabilizzazione in Europa?
Il problema va oltre la Nato e risiede nel pensare di ricavare un equilibrio politico internazionale stabile solo da un confronto muscolare di blocchi contrapposti. In realtà solo allargando il quadro e tenendo in considerazione non tanto gli “interessi nazionali” (eufemismo per mascherare interessi particolari delle leadership) quanto la necessità di una sicurezza condivisa per comunità e popoli potremo raggiungere più che la stabilità: la Pace. Ciò vale in particolare per l’Europa ma, in un mondo ormai pienamente globalizzato e con nuovi attori impossibili da ignorare, è cruciale per tutta la stabilità internazionale. La Nato ha esaurito da tempo il suo compito storico iniziale e non ha saputo trasformarsi in uno strumento nuovo che privilegiasse l’ambito non militare, quando ne ha avuto la possibilità. Avrebbe dovuto guidare una stagione storica di disarmo nucleare globale e completo e anche privilegiare un rafforzamento delle strutture multilaterali nonché le legislazioni internazionali sui diritti umani… invece ha preferito arroccarsi su una dimensione prettamente militare. Indipendentemente da qualunque retorica (tutti si dipingono come paladini di pace, diritti, giustizia) è chiaro che rafforzare una posizione di forza rassicura di certo i membri dell’alleanza ma provoca in maniera automatica, anche indipendente dalla volontà, una percezione di minaccia da chi ne è escluso. Alla lunga minando qualsiasi ipotesi di stabilizzazione globale: dobbiamo proprio assumere una prospettiva differente, se vogliamo costruire una vera pace positiva.
Per aver sostenuto la “neutralità attiva” nella guerra in Ucraina, il movimento pacifista è stato tacciato più volte e da più parti, anche in campo progressista, di fare il gioco dell’invasore russo. Lei come replica?
Che questi attacchi sono stati strumentali, disonesti, funzionali a non avere sul tavolo quella prospettiva differente di cui ho appena parlato, poiché avrebbe evidenziato le debolezze delle scelte effettuate. Che poi queste accuse siano venute anche da chi per anni ha fatto affari e accordi con Putin (e magari continua a pagare le materie prime russe, con soldi che rendono possibile la continuazione dell’invasione) è davvero paradossale e inaccettabile. Alcuni invece non hanno capito il vero significato di “neutralità attiva” (concetto peraltro non nuovo in politica internazionale): non una equidistanza figlia di ignavia, ma la consapevolezza che se vuoi davvero difendere la popolazione civile (noi ci schieriamo sempre di fianco ad essa!) non puoi prendere le parti di nessuno dei contendenti politico-militari. Si tratta del principio – non nuovo – alla base dell’intervento umanitario della Croce Rossa: per essere un mediatore e pacificatore credibile devi assumere un ruolo simile, altrimenti non si potrà mai “allargare il campo” per una mediazione multilaterale che punti ad una sicurezza allagata. Siamo anche stati attivi fin da subito ai confini dell’Ucraina e dentro il Paese, con le “carovane di Pace” promosse da “Stop the war now” a Leopoli, Odessa, Mykoliv… portando anche in Italia centinaia di profughi e in Ucraina tonnellate di aiuti. Chi ci accusa di filo-putinismo ha mai realizzato simili forme di aiuto concreto?
Nel bilancio 2022, l’Italia ha battuto il record di aumento delle spese militari. Quale la ratio?
Partiamo da un fatto tenuto nascosto: nonostante le lamentele dei settori legati a Difesa e all’industria militare la spesa militare era già in robusto aumento. Si è quindi sfruttata la drammatica crisi Ucraina per giustificare e rafforzare una tendenza già in corso da diversi anni: secondo le cifre elaborate dal nostro Osservatorio Mil€x dal 2019 al 2022 il balzo è stato di oltre 4 miliardi (da 21,6 a 25,8 complessivi) trascinato dai fondi per l’acquisto di nuovi armamenti, un record storico di 8,27 miliardi complessivi. Un aumento del 13,8% rispetto al 2021 e un salto del 73,6% dal 2019. La situazione va quindi analizzata a prescindere dal conflitto ucraino, perché è una dinamica congiunturale per cui i governi pensano, in maniera illusoria, di poter costruire sicurezza e pace investendo in armi. Eppure i numeri smentiscono questa favola: dal 2001 la spesa militare mondiale è quasi raddoppiata (siamo oltre il livello della Guerra Fredda) ma ciò non ha per nulla portato ad un mondo più giusto e pacificato. Chi ci ha guadagnato sono l’industria delle armi e tutti quei politici che hanno saputo trarre vantaggio di carriera dall’allineamento a tale idea.
L’attenzione mediatica è tutta concentrata sul conflitto russo-ucraino. Ma nel mondo esistono tante guerre “dimenticate”, alcune delle quali combattute con armi made in Italy. Cosa c’è dietro questa “dimenticanza”?
Io non la chiamerei dimenticanza: la maggior parte delle guerre, e sono tante, oggi attive nel mondo sono al contrario “ignorate” dalla gran parte dei media e della società civile occidentale. Ritengo ci sia una scelta precisa nel non voler considerare cosa succede ad esempio in Libia, Siria, Yemen, parti dell’Africa e del continente asiatico. O in luoghi come Iraq e Afghanistan in cui magari non è in corso un conflitto armato “evidente” ma in cui la scia di morte e distruzione continua da troppo tempo. Il motivo? Considerare con onestà e approfondimento queste situazioni comporterebbe evidenziare le colpe e il ruolo nefasto dei nostri Paesi. Invece è molto più comodo mantenersi su un piano retorico che permette ai nostri governanti di giustificare gli interventi militari e la vendita di armi in base alle convenienze. Qualcuno in passato ha criticato le nostre azioni per fermare il flusso di armi italiane verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che utilizzavano per bombardare anche civili in Yemen, dicendo che si trattava di iniziative che avrebbero minato il “prestigio” dell’Italia. Ma si può pensare a questo, o peggio ancora solo al fatturato, quando in gioco ci sono centinaia di migliaia di vittime e la peggiore catastrofe umanitaria del secolo? Peraltro ragionando in termini completamente opposti per la situazione ucraina… il dubbio è che esistano popoli e persone più sacrificabile sull’altare delle convenienze politiche e del ritorno economico sorge spontaneo.
In questi mesi di guerra, dalle pagine di una stampa con l’elmetto e dai salotti televisivi, in tanti hanno alzato l’indice accusatorio chiedendo polemicamente: “Dove stanno i pacifisti”. A lei la risposta.
Domanda provocatoria che sembra non passare mai di moda ed è frustrante e faticoso dovere ogni volta perdere tempo a replicare, quando sarebbe sufficiente osservare cosa facciamo alla luce del sole. Le nostre organizzazioni sono dalla parte delle vittime di ogni conflitto mettendo al centro comunità e popoli, costruiscono campagne internazionali di disarmo umanitario per eliminare sistemi d’arma che minacciano in qualche caso l’esistenza stessa dell’umanità. Siamo presenti in tutti i continenti con iniziative di interposizione nonviolenta e corpi civili di pace, oltre che con interventi di cooperazione e aiuto umanitario. Siamo anche quelli che cercano di dare visibilità ai conflitti “ignorati” nel momento in cui non sono funzionali all’agenda dei potenti: mentre i governanti, gli analisti politici, gli attori economici girano la faccia dall’altra parte o peggio fanno affari con autocrati sulla pelle delle persone. Noi al contrario cerchiamo di costruire relazioni e percorsi di pace dal basso, coinvolgendo le società civili. Forse se i politici ci ascoltassero di più il mondo sarebbe un posto migliore e si potrebbero davvero raggiungere quegli obiettivi di pace e protezione delle persone che vengono retoricamente evocati solo quando fa comodo per favorire interessi armati e mantenimento di posti di potere. Ma così non arriveremo mai a quella sicurezza condivisa che è base necessaria di una vera Pace positiva: presenza di diritti umani garantiti per tutti, non solo nei luoghi in cui ciò è funzionale alla supremazia di alcuni Paesi o di alcuni poteri.
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