Ha dedicato la sua vita alla difesa dei più indifesi. Nell’amata Africa come nella Napoli diventata oggi la sua città. Per lui, solidarietà, pace, giustizia sociale non sono solo parole ma valori da praticare là dove s’incontra la sofferenza, la rabbia ma anche la voglia di riscatto dei “dannati della terra”, come quelli da lui incontrati, “vissuti”, a Korogocho (“Caos, confusione”), una delle baraccopoli che attorniano Nairobi, capitale del Kenya. Questo e tanto altro è Alex Zanotelli, 84 anni portati benissimo, missionario comboniano, icona vivente del pacifismo italiano. Sulla guerra ha idee molto chiare.

Si dice: senza le armi fornite alla resistenza ucraina dagli Stati Uniti e dall’Europa, i russi avrebbero già conquistato l’Ucraina. Padre Alex, lei che all’invio di armi si è sempre dichiarato contrario, si sente per questo un “sodale di Putin”?
In questa lista di proscrizione dovrebbero mettere anche Papa Francesco. Ma non si azzardano a farlo, semmai provano a silenziare le sue vibranti denunce contro la guerra e le spese militari. Quello che è avvenuto lo riassumo in pochissime parole. Chi ha vinto è il complesso militare-industriale. Prima di tutto degli Stati Uniti e poi dei nostri complessi militari-industriali. Sono i produttori di armi che hanno vinto. E adesso avranno una gran fortuna in avanti. Ci hanno portato alla guerra in Ucraina, ma non si fermeranno qui. Si arriverà quasi certamente ad una nuova cortina di ferro, i blocchi. Ci stiamo già armando adesso e se ci si arma ci si prepara ad altre guerre. È questa la follia umana. Siamo pazzi. Io non ho altre parole.

Ai pacifisti s’imputa una equidistanza, di fatto, fra gli aggrediti e l’aggressore…
Ci sono due cose importanti da tener presenti. Prima di tutto cominciamo col dire che questa storia dell’equidistanza è una gran balla. Perché la prima cosa che noi diciamo è la condanna completa della Russia o per meglio dire del governo di Putin. Non parliamo della Russia tout court altrimenti continuiamo a demonizzare quel Paese e quel popolo tutto. È il complesso militare-industriale russo, e coloro che ne sono capo, il responsabile di quanto sta avvenendo. E non il popolo russo, e questo va tenuto sempre ben presente. Quel sistema lo condanniamo senza se e senza ma. Hanno invaso una nazione, facendo una guerra orrenda. C’è poi un secondo aspetto altrettanto importante…

Vale a dire?
Riguarda la non violenza. Non si può parlare di non violenza adesso in Ucraina. Come fai a farla! La non violenza richiedeva che prima avessimo fatto tutto un lavoro per preparare il popolo ucraino a reagire. A reagire prendendo coscienza, anche facendo tesoro delle lezioni della Storia. Voglio essere molto chiaro su questo. Molto, e male, si è discusso sulla resa. So delle accuse rivolte ai pacifisti dagli interventisti in divisa: allora cosa volevate, che si arrendessero… La storia, dicevo. Pensiamo a cosa ha fatto la Danimarca nella Seconda guerra mondiale. Ben strana “resa” ai nazisti la loro. Il re girava per Copenaghen con la stella di David, e hanno portato tutti gli ebrei in Svezia, e li hanno salvati. Hanno fatto una resistenza, meglio che hanno potuto, dal basso. Hanno salvato un popolo, altrimenti Hitler avrebbe schiacciato tutto. Questa presa di coscienza, per tornare all’oggi, non è stata fatta con la Russia. Si è invece preferito imboccare un’altra strada…

Quale?
Quella di armare l’Ucraina. Il terreno è stato preparato molto bene, dal 2014 in avanti. Con un sacco di armi da parte degli Stati Uniti, degli inglesi… E allora è chiaro che si sono sentiti ringalluzziti. Ecco il lavoro della non violenza. Bisognava prima aiutare un popolo, seriamente, a capire che non poteva accettare di rimanere sottomesso, e quindi indirizzare e organizzare dal basso la resistenza non violenta. Come hanno fatto Nelson Mandela e Desmond Tutu in Sudafrica. Quella è stata un esempio di lotta popolare non violenta che ti fa scontrare con i poteri forti. Uno scontro che accetti ma senza il ricorso alle armi. Il rifiuto delle armi è tutto il contrario di una resa. Tu non puoi sottomettere a lungo un popolo che ha preso coscienza e rivendica e si batte per i propri diritti. Ma questo deve essere preparato. Un altro esempio molto bello è quello delle Filippine, quando fu abbattuta la dittatura di Marcos. Allora, i vescovi, comprendendo la gravità di una situazione che stava precipitando, chiamarono due specialisti bravissimi, che conosco personalmente, dell’Austria…

Cosa accadde, Padre Alex?
Accadde che i due passarono una settimana intera con tutti i vescovi delle Filippine ad aiutarli nell’organizzare una lotta non violenta. I vescovi “usarono” le diocesi fino a che non chiamarono nella piazza centrale di Manila una folla immensa. Marcos rispose schierando i carri armati con l’ordine di sparare La gente, preparata alla non violenza, ha smontato tutto. Ed è caduta la dittatura di Marcos. Il popolo ha un potere enorme, una volta però che è educato. La non violenza doveva partire prima. Io non ho mai giudicato la resistenza dell’Ucraina. Loro hanno tutto il diritto a resistere. Senza gli aiuti, anche d’intelligence, che noi abbiamo fornito loro, è chiaro che un popolo non poteva resistere ad una potenza militare qual è la Russia. La non violenza attiva richiede un lavoro che parte prima. Ed è un lavoro che ha bisogno di tempo e di un impegno costante. Quando un popolo scende in piazza, non c’è nessuno che possa, alla lunga, soggiogarlo. O abbracciamo la non violenza o è finita, non c’è più spazio per le guerre giuste.

Se dico Nato, lei che risponde?
Rispondo con le parole di una delle menti più profetiche che abbiamo avuto in questo Paese. Di uno che è stato l’anima della Costituzione italiana: Giuseppe Dossetti. Dossetti è stato uno dei due della Democrazia cristiana che quando si trattò di votare sull’adesione dell’Italia alla Nato, nel ’49, votò contro. Dando pubblicamente la spiegazione del suo no. Dicendo, in buona sostanza, carissimi deputati, io voto contro, per la semplice ragione che se noi aderiamo alla Nato d’ora in poi l’Italia non sarà più un Paese sovrano. La nostra politica estera la farà qualcun altro. Ha spaccato con De Gasperi e poi si è ritirato dalla politica ed è diventato monaco, dando un importante contributo teologico, assieme al cardinal Lercaro, al Concilio Vaticano secondo. Quella che dette Dossetti è l’unica risposta. Si dice, a ragione, che l’Europa non ha una politica. Non ce l’ha, ma questo sono in pochi a dirlo, perché siamo prigionieri dell’America. Son loro che fanno la nostra politica.

Si dice che la pace si fa con il nemico. Ma quando si definisce il capo dei tuoi nemici, un “macellaio” per giunta genocida. Che cosa si può dire?
Vuol dire che Biden non vuole la pace. Ecco perché la guerra si prolunga. Ed ecco perché stiamo chiedendo che siano Biden e Putin a incontrarsi. Sono loro i due responsabili. E la comunità internazionale deve spingere perché venga trovata una soluzione equa ad una situazione che non nasce il 24 febbraio ma otto anni fa. Cercando di non umiliare Putin. Purtroppo è quello che stanno facendo: creare il mostro. Questa demonizzazione non aiuta la ricerca di una pace equa. E poi, per favore, non andiamo a cercare i crimini o additare criminali. È come se noi non li avessimo fatti, in Afghanistan, in Iraq, ovunque abbiamo portato guerre. È la guerra che è criminale. Quando si usano termini come quelli utilizzati da Biden allora vuol dire che non c’è volontà. Adesso sembra che si stia aprendo qualche spiraglio. Mi auguro che loro due possano sentirsi al telefono e poi vedere come fare a sedersi poi assieme agli ucraini per trovare un quadro giuridico che permetta al popolo ucraino di andare avanti. Ognuno dovrà rinunciare a qualcosa, ma la pace val bene sacrifici. Nonostante tutto, un negoziato è sempre possibile, ci si può mettere d’accordo. Ma i combattimenti devono cessare. La posta in gioco è altissima, rischiamo grosso, una guerra nucleare, l’inverno nucleare.

Noi parliamo giustamente della sofferenza del popolo ucraino. Ma, e penso soprattutto ai grandi mass media, non s’ignorano colpevolmente altri conflitti in corso, oscurando dolori indicibili e guerre “dimenticate” come quella in Yemen…
È un tema importantissimo, questo. Fondamentale. Questa copertura mediatica incredibile che si fa della guerra in Ucraina, mostrando tutte le cose più orrende, è fatta per uno scopo ben preciso, quello di assolutizzare questo conflitto, come se fosse l’unico sulla faccia della Terra.

Invece?
Leggevo proprio ieri su Le Monde diplomatique un articolo molto ben documentato, in cui si parla di 166 zone di conflitto. 166 a livello mondiale! Alcune sono guerre che vanno avanti da anni. Lei ha menzionato lo Yemen. C’è solo da vergognarsi. L’Onu definisce quella in atto in quel Paese la crisi umanitaria più terribile che esista al mondo. Eppure noi italiani continuiamo a vendere le bombe all’Arabia Saudita che le usa poi per bombardare lo Yemen facendo strage di civili. Su questo, silenzio. E soprattutto l’Africa. Io parlo del Congo. Sono milioni e milioni i congolesi morti. È una guerra che va avanti dal ’99. E perché questo? Perché vogliamo i minerali che ci servono per i telefonini, per le batterie per le nostre macchine adesso che diventeranno elettriche. E via di questo passo. Non se ne parla. Si dice: in Russia non c’è opposizione. Come se da noi ci fosse piena libertà d’informazione. Ma quando, ma dove? Se la televisione fosse davvero un servizio, soprattutto quella pubblica, dovrebbe mettere sotto gli occhi di tutti quello che avviene. Ma ci si guarda bene dal farlo.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.