L'ipocrisia dell'Occidente
Ucraina nuovo Vietnam, Zelensky smaschera il bluff della guerra lunga che conviene a tutti
«La vittoria è riuscire a salvare più vite possibili. Sì, salvare più vite possibili, perché senza questo nulla avrebbe senso. La terra è importante, sì, ma alla fine è solo territorio». Sono parole da ricordare, soprattutto se pronunciate quando la guerra sta assumendo sempre i più i tratti di un feroce e irriducibile corpo a corpo tra uomini, prima ancora che tra popoli ed eserciti. I colpi sparati alle gambe di alcuni soldati russi ammanettati e prigionieri desta orrore, ma non può certo riequilibrare il peso morale tra vittima e invasore. Senza essere cinici, occorre pur sempre ricordare – a chi sobbalza incredulo sulla poltrona di casa – che queste cose accadono sempre quando lo scontro diventa disperato. Quando ci sono amici, compagni, parenti caduti e sparare a sangue freddo è la più sbrigativa delle vendette. Accade da una parte e dall’altra. È il sacrilegio della guerra come ha ricordato Papa Francesco, in cui l’uomo diventa lupo e ogni nemico è una preda.
Ma quelle parole restano. Il richiamo all’importanza primaria della vita conserva un valore proprio quando tutti hanno compreso che non c’è più in Ucraina alcuna guerra in corso e che i resistenti hanno, ormai da giorni, trasformato la guerra in una guerriglia fatta di imboscate e agguati e i russi hanno optato per radere al suo suolo le città e affamarle neanche dovessero entrare a Mariupol come a Berlino nel 1945. L’acuirsi dello scontro, la sua insensata ferocia è anche colpa dell’Occidente che ha rifornito e sta rifornendo l’esercito ucraino di armi leggere da imboscata per distruggere carri armati e mezzi blindati e si rifiuta di trasferire armi pesanti per riportare lo scontro in un terreno aperto. Chi ha sempre criticato questa opzione deve pur dire che una minore ipocrisia delle Cancellerie avrebbe paradossalmente riportato la guerra in binari più convenzionali, meno inclini alla violazione delle regole di ingaggio più elementari. L’idea di vietnamizzare lo scontro è la più sanguinosa delle derive, ma lo sappiamo gli occidentali non vogliono essere coinvolti, quindi, si arrangino i resistenti come possono con quel che gli si manda, l’importante è che Putin paghi un prezzo salato.
La guerriglia, lo sanno bene gli eserciti appena fuggiti dall’Afghanistan, è il più feroce dei conflitti perché incattivisce, ammorba, distrugge, ammalora le coscienze, non vuole prigionieri per il solo fatto che non li prevede, spinge alle rappresaglie sulla popolazione, anche le più vili e terribili come la nostra storia ben ricorda. È amorfa la guerriglia, asimmetrica, ibrida, senza un luogo e senza un tempo. È Caino che colpisce alle spalle Caino che disperato uccide Abele per vendicarsi. Le vite valgono più di un pezzo di terra è vero; soprattutto quando anche quella terra è desertificata, quando la popolazione diventa una massa disperata di profughi, quando le case sono macerie. I mastini della guerra che dai cortili mediatici dell’Occidente esultano per la resistenza ucraina, che inneggiano all’invio di armi, che esortano alla battaglia all’ultimo uomo saranno certo infastiditi da quelle parole. A vederle così sembrano quasi le parole del solito putiniano “a sua insaputa” o peggio ancora del “piccolo putiniano” che alberga in tanti dopo aver scacciato il fanciullino di pascoliana memoria.
Peccato che ad averle pronunciate, in una intervista di grande rilievo resa a The Economist, sia stato Volodymyr Zelensky, presidente della martoriata Ucraina. Sarebbe ingiusto non cogliere in quelle parole il tratto di un politico di spessore, sensibile e privo di quel cinismo che tanto affligge settori cospicui del navigato establishment occidentale. È come se avesse, d’un colpo, smascherato il bluff di coloro che lo appoggiano e lo sostengono, anzi lo incitano. In quell’intervista ci sono le mosse di uno scatto matto morale e politico inferto al fronte oltranzista con cui, come al solito, nessuno farà i conti né nel nostro paese né altrove. Prima mossa: «Sono sicuro che se fossero state applicate prima sanzioni più severe, un attacco russo su larga scala non si sarebbe verificato»; seconda mossa «tutte queste sanzioni sono incomplete. Sono state minacciate, ma non ancora attuate. Ora si sente dire che la decisione dipende dal fatto che la Russia lanci un attacco chimico contro di noi. Questo non è l’approccio giusto. Non siamo cavie su cui fare esperimenti». Parole di fuoco, drammatiche, di chi ha compreso che è inutile spendersi in perorazioni e discorsi innanzi ai parlamenti di mezzo mondo, che tanto «tutti hanno interessi diversi. Ci sono quelli in Occidente a cui non dispiace una lunga guerra perché significherebbe esaurire la Russia, anche se questo significa la fine dell’Ucraina e viene a costo di vite ucraine. Questo è sicuramente nell’interesse di alcuni paesi». Chapeau, signor Presidente.
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