Siamo francamente sorpresi della sorpresa che ha caratterizzato molte posizioni nel mondo occidentale e in Italia rispetto a Putin. Evidentemente ci riferiamo a quelle prese in buona fede e senza scelte o interessi precostituiti. Non a quelle derivanti da situazioni assai pesanti che riguardano Trump a livello mondiale e, a nostro avviso, Salvini a livello nazionale (del tutto diversa come vedremo è la linea assunta da Giorgia Meloni).

Per fare un esempio a noi vicino, chi era Putin dal punto di vista ideologico e politico-strategico fu spiegato già nel 2017 in un convegno di Riformismo e Libertà con relazioni di Vittorio Strada, uno dei massimi studiosi della cultura e della storia russa purtroppo scomparso, e di Garry Kasparov. Putin è caratterizzato da una forte componente ideologica che ha il suo punto di riferimento essenziale in Aleksandr Dugin, un ideologo reazionario che presenta l’Eurasia come una sorta di “terza Roma”, una grande Russia distinta dal comunismo, ma anche dall’Occidente libertino e decadente e segnata da un autoritarismo totalizzante. In questo quadro i punti di riferimento spaziano da zar come Pietro il Grande e Ivan il Terribile fino a Stalin, ma non riguardano e coinvolgono Lenin. Le conseguenze politiche di questa ideologia erano e sono molto nette. In genere a questo proposito ci troviamo spesso di fronte a nostalgici riferimenti al Putin di Pratica di Mare, spesso evocato da Silvio Berlusconi. Per molteplici ragioni però il Putin di Pratica di Mare è molto diverso da quello successivo.

Allora Putin si trovava a gestire una Russia ridotta ai minimi termini dall’implosione dell’Urss, per cui andava in giro col piattino in mano pur di rientrare nel salotto buono della politica mondiale. Una volta che ciò gli è riuscito, anche con il contributo degli Usa, gradualmente Putin ha buttato via la maschera buonista. L’errore fatto nei confronti di Putin è stato esattamente l’opposto di quello imputato da Massimo D’Alema all’Occidente. Da questo punto di vista, nel corso degli anni D’Alema non si è fatto mancare nulla in nome di una spregiudicatezza che sconfina con il trasformismo. Prima rispetto all’Urss egli ha tenuto la stessa posizione contraddittoria seguita da Enrico Berlinguer; poi nel 1999, dopo essere diventato presidente del Consiglio anche grazie a Cossiga, si è schierato su una posizione così filoamericana e atlantica da mandare i nostri aerei a bombardare la Serbia prima di avere il consenso del Parlamento; più recentemente è diventato un ascoltato consulente della Cina, adesso invece imputa agli Stati Uniti di avere accettato l’adesione alla Nato di una serie di paesi ex comunisti, il che avrebbe provocato la reazione di Putin.

In primo luogo quei paesi (Polonia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia) sapendo bene con chi avevano a che fare, sono stati loro a richiedere questa adesione: fortunatamente essi sono stati accettati perché almeno adesso una copertura ce l’hanno. In effetti l’errore commesso degli Usa, dalla Ue (e in essa specialmente dalla Germania) è stato di segno opposto a quello denunciato da D’Alema. In secondo luogo in Medio Oriente gli errori commessi per eccesso di interventismo da Bush jr., per altro verso da Obama (che si fece dissennatamente spingere da Sarkozy a intervenire in Libia e invece si fece convincere dallo stesso Putin a non intervenire nel 2013 in Siria) hanno consegnato a Putin un ruolo fondamentale proprio nel Medio Oriente. Ma a quel punto era chiaro qual era la posizione di fondo assunta da Putin: egli ha affermato che la caduta dell’Urss è stata la maggior catastrofe geopolitica avvenuta nel XX secolo.

Egli fa questa affermazione non perché sia nostalgico del comunismo, ma perché era venuta meno la Russia come grande potenza contraltare degli Usa. Di qui la sua linea ai confini con l’Europa del Nord. Subito l’Ucraina è stata messa nel mirino non tanto per l’eventualità assai remota che anch’essa aderisse alla Nato, ma perché, diversamente dal Kazakistan e dalla Bielorussia, era stato cacciato dalla rivolta popolare del Maidan il quisling Yanukovich, e così l’Ucraina diventava per gli stessi russi un punto di riferimento liberal-democratico, posizione che Putin contesta alla radice.

Di qui è in corso da alcuni anni l’attacco asimmetrico all’Ucraina iniziato con autentiche violazioni del diritto internazionale in Georgia e specialmente in Crimea. Tutto ciò è stato funzionale ad una linea politica assai precisa e assai pericolosa: utilizzando senza alcuna remora lo strumento militare Putin punta a costruire nel cuore dell’Europa del Nord una costellazione di Stati, anche facendo leva sulle minoranze russe, intorno alla “grande Russia”. Di conseguenza, dopo quello che aveva fatto in Crimea, l’errore tragico commesso dagli Usa e dall’Unione europea è stato quello di considerare Putin come un alleato recuperabile con il quale era possibile tornare a Pratica di Mare. Così la Germania e l’Italia hanno commesso incredibili errori sul terreno della politica energetica. Così si è consentita una penetrazione economica-finanziaria, compreso il calcio, in molti paesi da parte di oligarchi che non giocavano solo una partita in termini di arricchimento privato, ma una linea che aveva il risvolto politico della costruzione di sfere d’influenza. Il caso Schroeder non è isolato: anche in Italia, evidentemente a un livello più basso, ci sono stati e ci sono leaders politici e spezzoni di forze politiche che sono stati letteralmente comprati.

Molto recentemente c’è stato un altro fraintendimento. Gli Usa, che con il tragico errore commesso con il ritiro in Afghanistan hanno dato la sensazione di poter sfondare in molteplici direzioni senza tanti danni, in occasione di questa crisi avevano capito almeno da un paio di mesi che si era alla vigilia di un attacco totale. Ebbene, essi sono stati contestati da molti osservatori, in primo luogo dai tedeschi. Poi si è visto chi aveva ragione. È risultato evidente a tutti da un lato per l’estrema gravità dell’attacco e dall’altro per la sua incredibile pretestuosità (il rischio di un’adesione alla Nato, l’esistenza di un gruppo dirigente ucraino di drogati e di nazisti e specialmente il rifiuto di riconoscere all’Ucraina di essere una nazione autonoma), che Putin sta giocando una partita di estrema pericolosità. Per la prima volta nel cuore dell’Europa viene sferrato un attacco contro uno Stato autonomo da parte di chi in effetti non ha intenzione di fermarsi, ma piuttosto sta saggiando il terreno per cui, se non si trova di fronte ad una risposta forte, ci si può trovare a passi ulteriori, dalla Moldavia alla Transnistria, alla Lituania e all’Estonia con minacce dichiarate anche per la Svezia e la Finlandia.

Di qui il paradosso espresso esplicitamente da Biden e dall’Ue: non potendosi dare nell’immediato, anche per ragioni di contiguità geografica, una risposta sul piano militare a chi invece sente solo il linguaggio delle armi, proprio per evitare una terza guerra mondiale, bisogna ricorrere a sanzioni così dure che nel medio periodo colpiscano davvero il sistema di potere putiniano. Certamente si tratta di una risposta che apre una serie di problemi e di interrogativi. Ma di qui non si scappa: la storia è sempre imprevedibile (neanche Hitler era stato mai previsto), ma anche per gli errori degli Usa, della Germania e dell’Unione europea in Russia è nato un mostro assai pericoloso.
La sua pericolosità è dimostrata da un altro elemento: per primo Putin ha capito che l’uso politico di internet può produrre conseguenze sconvolgenti sulle democrazie aperte e libere dell’Occidente. Così nel corso di questi anni l’apparato russo sul web ha influenzato il referendum in Catalogna e quello su Brexit e ha svolto un ruolo rilevante anche nelle elezioni americane del 2016 dando a Trump un fortissimo sostegno. Allora bisogna capire che dopo la pandemia il mondo si deve misurare con un altro gravissimo problema: per la prima volta dopo il 1945 c’è oggi il rischio di una terza guerra mondiale. Solo nel 1962 si corse un rischio simile, ma francamente Kruscev e il Pcus erano molto meno avventuristi di Putin. I riferimenti fatti da Putin in queste ore alle armi atomiche costituiscono un segnale sinistro.
Tutto ciò è piombato con un effetto deflagrante sulla politica italiana.

È in atto una prova della verità per tutti al di fuori di ogni schema precostituito e anche al di là di ciò che è avvenuto per l’elezione della presidenza della Repubblica e delle sue più immediate conseguenze. Passata una prima fase di incertezza, Draghi ha capito fino in fondo la gravità della situazione e sta facendo i conti con essa forte anche del suo retroterra tecnico. Bisogna dare atto a Enrico Letta, finora deludente su una serie di questioni, in primo luogo la giustizia, di avere avuto un autentico scatto e di aver dato una risposta incisiva e all’altezza della gravità della situazione. Sul polo opposto non possiamo fare a meno di rilevare che il discorso di Giorgia Meloni negli Usa, perdipiù con un Trump assai ambiguo per molteplici ragioni, è stato ineccepibile e di grande livello ed è andato al di là degli aspetti consueti del confronto fra maggioranza e opposizione. Anche Renzi, Calenda, la Bonino e i centristi hanno risposto in modo positivo. Bisogna dare atto anche a Conte e a Di Maio di aver superato precedenti ambiguità e di aver dimostrato finora di capire qual è la posta in gioco.

Finora Forza Italia non ha brillato, ma fortunatamente non ha creato problemi. Del tutto deludente, invece, risulta Matteo Salvini: non ha mai pronunciato la parola Putin per esprimere un giudizio esplicito su quello che il leader sovietico sta facendo, ha assunto una posizione banalmente contrattuale sulle sanzioni dimostrando anche di non aver capito che proprio l’incisività di esse può evitare il peggio. Ha anche contrastato l’appoggio militare agli ucraini in nome di un ridicolo pacifismo. Diciamoci la spiacevole verità: visti anche i rapporti pregressi espliciti e impliciti Matteo Salvini costituisce il punto debole dell’Italia. D’altra parte, però, qualunque forza politica che venisse meno all’esigenza, sentita fortemente da tutto il mondo occidentale e dall’Ue, di fare i conti con la minaccia costituita dal mostro che è ai confini dell’Europa perderebbe totalmente la faccia, anche perché su questo terreno le discriminanti di destra, centro e sinistra purtroppo non hanno molto senso.