Non esiste una guerra giusta, ma deve esistere una pace nella giustizia. Così come non devono esistere profughi di serie A e quelli inferiori. Così a Il Riformista padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati. E mentre il Governo italiano decideva di sostenere il popolo ucraino inviando armi, il Centro Astalli aveva lanciato il seguente appello: “Migliaia di persone sono in fuga dall’Ucraina in fiamme. Una guerra improvvisa, inaspettata, inimmaginabile per una umanità ancora provata dalla pandemia. Sono in viaggio in queste ore, in fila ai confini, in cerca di un luogo sicuro, in cerca di pace. Si tratta per lo più di donne e bambini che sono stati costretti ad abbandonare tutto: casa, scuola, lavoro, familiari, padri rimasti nel Paese, a difendere la democrazia, le libertà, i diritti della loro nazione… Il Centro Astalli, insieme a operatori e volontari, è pronto a fare la sua parte nell’assistenza e nell’accompagnamento delle persone in arrivo in Italia. Hanno bisogno di cibo, di cure mediche, di assistenza legale, alloggio e di mediatori culturali che li aiutino a esprimere bisogni e aspirazioni e a comprendere un Paese che mai avrebbero pensato di conoscere”.

Padre Ripamonti, le notizie che giungono dall’Ucraina sono sempre più drammatiche. E interrogano quel mondo solidale di cui il Centro Astalli è parte attiva e importante. In un articolo che ha fatto molto discutere, Piero Sansonetti ha sostenuto che “il pacifismo non si negozia, armi mai”, in riferimento alla decisione del Governo italiano, sostenuta pressoché unanimemente dal Parlamento, di inviare armi all’Ucraina. Lei come la vede?
Io sono dell’idea che comunque le armi creino sempre degli effetti immediati e a lungo termine. Produrre, finanziare, fornire armi ha delle conseguenze che non sono valutabili al momento. Quello delle armi è un tema molto importante. Mi rendo conto che il decisore politico di fronte ad una situazione così d’emergenza compia scelte che intendono dimostrare partecipazione e sostegno in una situazione in cui appare chiaro chi sia l’aggredito e chi l’aggressore. Ne comprendo le motivazioni ma non è quella, a mio avviso, la via da perseguire. Vedo le ambiguità e le ricadute che questa decisione può avere.

Sempre nel suo articolo, Sansonetti afferma che “non esiste la guerra giusta. La guerra è solo l’impazzimento della politica”. Tante volte si evoca la guerra giusta, la guerra umanitaria, la guerra inevitabile, arrivando a Hitler…
Parlare di guerra giusta è alquanto complicato. Certamente in questo caso specifico la situazione è degenerata e l’Ucraina è stata invasa. Una decisione presa unilateralmente da una delle due parti. Certo è che negli anni c’erano state delle avvisaglie di questo confronto tra Russia e Ucraina, che sono poi degenerate nell’ultimo periodo. Le armi della diplomazia sono state spuntate e non hanno ottenuto risultati. Speriamo che i negoziati che via via si concordano, possano portare ad una risoluzione rapida del conflitto.

Adesso l’Europa scopre la guerra, perché avviene all’interno dei suoi confini. Eppure la stessa Russia di Putin aveva fatto pratica in Siria, e prim’ancora in Crimea, in Cecenia…Allora però non c’è stata questa alzata di scudi.
Purtroppo è così. È un periodo questo, prima con la pandemia adesso con la guerra, che dovrebbe farci pensare. Noi abbiamo un po’ giocato con i diritti e abbiamo fatto in modo che i diritti diventassero privilegi di alcuni, e poi la pandemia ci ha dimostrato che se i diritti vengono trattati come privilegi per alcuni, rischiano poi di ritorcersi anche contro di noi. E così è stato con la guerra. Pensavamo che la guerra potesse essere fuori da casa nostra e invece adesso ce la troviamo dentro. Trattare le altre situazioni di guerra come qualcosa che non ci riguarda si è rivelato non soltanto un approccio “immorale”, ma anche miope, perché la realtà sta a dimostrare che disinteressarsi verso guerre che sono lontane da noi , non è un’azione adeguata, perché è comunque un legittimare questo atteggiamento. Io credo che questa guerra che avviene nel cuore dell’Europa debba farci riflettere molto sulle nostre politiche, che devono essere politiche volte al disarmo, al dialogo, alla pluralità all’interno delle nostre società. E non possiamo disinteressarci di quello in casa d’altri.

Anche perché quello che avviene in casa d’altri poi comunque ha ricadute anche in casa nostra. L’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha reso noto nei giorni scorsi che in Ucraina, a seguito della guerra, gli sfollati sono già più di un milione. Padre Ripamonti, non è che dopo parole di circostanza si riproduce il vecchio meccanismo di chi grida all’invasione?
L’atteggiamento iniziale nei confronti dell’Ucraina è stato molto diverso da esempi passati. C’è stato un atteggiamento di disponibilità, di apertura. In questi giorni molta parte della società civile si dimostra molto attenta e partecipe a questa situazione. La mia preoccupazione è che si vada in una direzione in cui ci sono degli sfollati di serie A e degli sfollati di serie B. Gli sfollati, le persone che scappano da guerre e persecuzioni, hanno tutti lo stesso diritto di essere accolti, di essere accompagnati, di essere reinseriti perché la loro vita possa avere una piega diversa, possa andare verso la felicità. La mia preoccupazione è che non passi questa gerarchizzazione dei sofferenti e delle sofferenze, e che invece questo sia un momento di riflessione per dire all’Europa che occorre cambiare passo, cambiare politica, perché i rifugiati, le persone che scappano e che bussano alle nostre porte, hanno la stessa dignità e vanno tutte trattate allo stesso modo.

Si plaude all’Europa che accoglie i profughi. Ma vanno bene gli ucraini e non gli afghani?
Questa è la preoccupazione. Nella discussione di giovedì scorso fra i ministri dell’Interno dei Paesi Ue era venuta fuori la distinzione tra cittadini ucraini e cittadini di Paesi terzi residenti in Ucraina. Grazia al cielo, poi la distinzione è rientrata e la direttiva 55 del 2001 si applicherà per tutti i residenti in Ucraina, anche i cittadini di Paesi terzi. Ma il fatto stesso che questa distinzione era entrata nella discussione, ci dovrebbe far riflettere che il cammino che aspetta l’Europa sarà un cammino molto lungo, e che per essere portato avanti nella giusta direzione, ha bisogno di un ripensamento più complessivo. Il fatto che questa direttiva sul permesso di soggiorno temporaneo da utilizzare per sfollamenti massicci legati alla guerra e alle violenze, pur essendo del 2001 è stata utilizzata per la prima volta nel 2022, nonostante flussi ce ne siano stati in questi vent’anni, ci deve far riflette su che tipo di politiche migratorie e di asilo vogliamo avere come Europa.

Nel suo giustificare l’invasione dell’Ucraina, Vladimir Putin ha toccato varie corde culturali, storiche e anche religiose, ricevendo anche il sostegno, anche se non unanime, dei vertici della Chiesa ortodossa russa. Quest’ultima cosa, non suona grave per uomini di Chiesa e non solo?
Prima nel documento sulla fratellanza e poi nella Fratelli Tutti, papa Francesco ha sottolineato, e con lui anche esponenti di altre religioni, come nel nome di Dio non si fanno guerre. Non c’è nessuna modalità di affrontare la questione della guerra dal punto di vista religioso. Da questo punto di vista, papa Francesco è stato estremamente chiaro e molti leader religiosi lo sono. Supportare la guerra con argomenti religiosi è totalmente fuori luogo. La guerra è un abominio, che va sempre condannato. In una guerra non ci sono mai vincitori e vinti ma solo vittime e dolore da entrambe le parti della Storia. I governi, le istituzioni nazionali e sovranazionali facciano di tutto per disinnescare la guerra. Le istituzioni europee si assumano la responsabilità di mettere in atto ogni possibile azione senza rinunciare mai a una soluzione diplomatica del conflitto.

Come reagisce una persona come lei, che presiede un’organizzazione come il Centro Astalli, impegnato quotidianamente da quarant’anni a questa parte nel sostenere i più indifesi tra gli indifesi, quando vede in tv qualcuno che alza il dito e pontifica: dove stanno i pacifisti?
Non do retta a queste posizioni. Continuo a fare quello che ho sempre fatto, mettendomi dalla parte delle vittime, perché sia gli ucraini che tutti gli altri sfollati sono le vittime di sistemi ingiusti, di guerre che sempre sono ingiuste, perché creano queste situazioni e costringono le persone a fuggire. Non raccolgo nessun tipo di polemica ma cerco, attraverso un’azione di riconciliazione sulle persone, di immaginare e creare una società di pace.

Non esistono guerre giuste, ma papa Francesco ha anche ribadito che pace non è assenza di guerra. La pace o è giustizia, o non è.
Esatto. Finché nel mondo non c’è quella giustizia che è elemento basilare per un mondo di veri fratelli, ci sarà sempre il presupposto per la creazione di conflitti, soprattutto quando le politiche sono mosse da interessi di parte più che dal servizio del bene comune. I pacifisti lottano per un mondo più giusto, per un mondo in cui non siano le armi ma sia la giustizia, l’equità, l’uguaglianza, l’elemento discriminante che possa fondare le radici dell’albero della pace.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.