La vergogna
Quando il calcio è razzista. Breve storia di 30 anni di vergogna

Gli insulti a Mario Balotelli durante la partita Verona-Brescia sono solo l’utimo episodio, in via cronologica, di una vergogna che nella storia del calcio si ripete da anni. Episodi di tifo razzista ce ne sono stati vari. Uno dei più eclatanti vede come protagonista sempre la tifoseria del Verona che il 28 aprile 1996 allo stadio Bentegodi, durante il derby cittadino Verona- Chievo inscenò l’impiccaggione di un manichino giù dalle curve. Il fantoccio aveva il volto nero e una doppia corda lo teneva per il collo. Non contenti del meschino simbolo, e per non lasciare alcun dubbio, la curva espose anche uno striscione in dialetto veronese ancora più agghiacciante: ““El negro i ve là regalà. Dasighe el stadio da netar!”, ovvero il nero ve lo hanno regalato, dategli lo stadio da pulire. Ne apparve un altro, in inglese, per rendere il tutto più internazionale: “Negro go away”. Intanto, alle spalle dello striscione, c’erano ragazzi incappucciati in bianco, come quelli del Ku Klux Klan, intonando cori nazisti.
Il “negro” in questione era Maickel Ferrier, un difensore olandese che giocava con il Voledam. Il Verona aveva appena definito il contratto, la trattativa era praticamente chiusa e per il calciatore l’Italia era l’occasione della vita. Il fantoccio appeso, gli striscioni e i cori durarono almeno 38 minuti, mentre in capo continuava la partita regolarmente. Tutti videro quella vergogna, gli spettatori, i giocatori, gli allenatori Perotti e Malesani, l’arbitro Tombolini, i dirigenti delle due squadre, ma nessuno fece nulla. Il giorno dopo le foto del triste evento erano su tutti i giornali e la società civile si indignò all’unisono. L’indignazione colpì con poca convinzione il Verona che, dopo l’indignazione, preferì stracciare la trattativa con il difensore olandese. Meglio di no, fecero sapere, ufficialmente, per presunti problemi fisici. Dopo poco il giocatore venne ingaggiato sempre in Italia dalla Salernitana. La curva del Verona diventa negli anni successivi l’epicentro di un sisma che però coinvolge tutto il paese. Gli episodi sono diversi: gli insulti razzisti a Ferdinand Coly durante un Perugia-Verona del 2005; le auto parcheggiate a forma di svastica; i cori “Siamo una squadra fantastica… fatta a forma di svastica… che bello è… allena Rudolf Hess” durante la festa promozione dello scorso giugno e ai vergognosi insulti contro Mario Balotelli.
Qualche anno prima, nel 1992, vittima di razzismo è Aron Mohammed Winter, centrocampista proveniente dall’Ajax, 51 gol nelle precedenti sette stagioni in Olanda oltre che una presenza fissa nella nazionale “Oranje”. Winter ha origine del Suriname, ha la pelle scura e, inoltre, è ebreo. È atteso a Roma per il suo ingresso nella Lazio ma a pochi giorni dal suo arrivo sui muri compaiono scritte antisemite come “Non vogliamo ebrei”. Le proteste dei tifosi laziali superano ogni limite, con messaggi gridati da diversi tifosi al centralino telefonico della Lazio, fino alla chiamata a una radio romana da parte di “uno degli Irriducibili della Curva Nord”, che intimidisce il giocatore olandese dicendo che la curva non gli avrebbe dato pace finché non se ne fosse andato da Roma.
La situazione è talmente tesa che a Winter viene consigliato di negare le sue origini ebraiche. «Mi chiamo Aron Mohammed solo perché a mio padre piacevano i nomi esotici», dichiara il centrocampista in un’intervista, nella speranza di abbassare i toni. La vicenda assume grande rilevanza mediatica a livello nazionale e si inizia a parlarne in tutta Europa. Una vicenda simile accadde anche a Ronny Rosenthal, attaccante israeliano dello Standard Liegi, che nel 1989, appena siglato il contratto con la neonata Udinese venne preso di mira da scritte sui muri e minacce. La tifoseria non gradiva gli ebrei in squadra. L’ebbero vinta ma Rosenthal alla fine se ne andò al Liverpool e sei anni dopo la squadra ha dovuto pagare 61 milioni di lire al giocatore, che li portò in giudizio – e vinse la causa – per discriminazione.
Di episodi razzisti in campo ce ne sono tantissimi. Marco André Zoro, Kalidou Koulibaly, Dalbert Henrique, Romelu Lukaku, sono solo alcune delle vittime degli ultimi anni del tifo razzista. A volte il gioco si ferma e poi riprende, altre le squadre vengono multate, la macchina dell’indignazione pubblica fa il suo corso e alla partita successiva lo show va avanti come se nulla fosse. In attesa della prossima partita, del prossimo coro razzista, e della prossima indignazione.
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