“Chi lavora a Milano è milanese”, sono secoli che con questa affermazione del vescovo Ariberto del 1100 la città di Milano ha organizzato i processi di inclusione. Dal lavoro si diramavano poi le strutture del welfare. Assistenza, mercati e a prezzi regolati e poi nel tempo il latte per i bambini, la rete elettrica, le case popolari. Oggi la sfida viene ancora da lì. Se il lavoro non assicura più l’accesso alla casa, alla salute ed ai servizi indispensabili come rispondere?

Il sostegno

Già dieci anni fa comune, camera di commercio con Cgil, Cisl e Uil hanno dato vita alla Fondazione Welfare Ambrosiano per rispondere alle difficoltà di quella fascia di lavoratori che sono troppo ricchi per accedere all’assistenza ma non arrivano a coprire i bisogni di base. Come da tradizione milanese non si è puntato ad allargare l’assistenzialismo, ma si è cercato un modello che permettesse di intervenire con sostegni temporanei per restituire capacità di autonomia a una realtà di microcredito sociale unica in Italia.

Oltre la crisi dell’assistenza sociale

Ma la crisi dei salari ha ampliato il numero di chi non ce la fa e ampliato la fascia dei bisogni. La sfida per il sistema del welfare milanese va oltre la fascia della assistenza sociale e diventa quella di interventi territoriali capaci di restituire al lavoro il valore che ha sempre significato per la città. Il grande mondo del terzo settore con le iniziative capaci di intercettare le nuove povertà, le parti sociali con la ripresa della contrattazione territoriale, indicano una strada che richiede una regia politica.

Massimo Ferlini

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