Lo vedete riprodotto qui, su questa pagina, il tweet con il quale qualche anno fa, nell’aprile del 2015, Giorgia Meloni sostenne che il presidente del Consiglio, che all’epoca era Matteo Renzi, avrebbe dovuto essere indagato per strage colposa, perché su di lui ricadeva la responsabilità di un tragicissimo naufragio, al largo delle coste libiche, che costò la vita a centinaia di profughi.

La presa di posizione di Giorgia Meloni era dettata evidentemente dalla rabbia – giusta, molto comprensibile – per la gravità di quella tragedia. Le responsabilità del governo italiano però in quell’occasione erano modeste. Il naufragio fu improvviso e avvenne vicino alle coste libiche e a più di cento miglia di Lampedusa. La marina italiana non ebbe nessuna possibilità di intervenire in tempo. Stavolta le cose sono diverse. E immaginiamo però che Giorgia Meloni abbia sentito lo stesso impulso di rivolta e di furia che sentì di fronte a quel cimitero in mare del 2015.

Sono diverse, le cose, perché il naufragio di Cutro non è avvenuto in Libia, né in mare aperto, ma a cinquanta metri dalle spiagge della Calabria. Noi capiamo benissimo l’ imbarazzo della Presidente del Consiglio, la necessità di muoversi con cautela, anche la giusta esigenza di difendere il suo giovane governo. Però in nessun modo può negare le responsabilità del ministro dell’interno e forse anche del ministro delle infrastrutture.

Le dimissioni del ministro dell’Interno sono inevitabili, specialmente dopo le sconsiderate dichiarazioni che ha rilasciato e troppo tardivamente corretto, sulla responsabilità delle vittime. Immaginiamo che Giorgia Meloni, che ha una lunga esperienza politica, e anche una sensibilità umana che nessuno ha mai messo in discussione, sia rimasta esterrefatta di fronte agli errori tragici dei suoi ministri, che hanno dimostrato di non essere all’altezza, e poi di fronte alle dichiarazioni rilasciate in modo sconsiderato.

Però ora la responsabilità è sua. Deve battere i pugni sul tavolo e chiedere quantomeno a Piantedosi di lasciare. È un dovere. Non è giusto dire al paese che una strage in fondo è una eventualità della vita e che ci si dimette solo per il sospetto di un traffico di influenze o di una raccomandazione indebita. Il ribaltamento dei valori non può essere accettato. Non c’entra niente destra o sinistra. Neanche maggioranza o opposizione. C’entra la dignità del paese.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.