L’Italia non è un’isola felice, non è la Svizzera e non vive in una dimensione parallela tale da proteggerla nella sua interezza e nella persona dei suoi cittadini. Vale anche oggi, guardando non senza difficoltà e senza imbarazzi alla contrapposizione Italia-Iran. Siamo una nazione che deve compiere un percorso fenomenologico per ritrovare sé stessa. E affrontare tutte quelle sfide all’orizzonte, alcune ancora da definirsi, altre già ben definite. Eppure, stentiamo spesso a comprendere che quel che accade nel mondo ci riguarda da vicino.

Esistono degli argomenti che nel nostro paese sono veri e propri tabù, non si possono affrontare, non si possono raccontare, non posso essere lodati, perché? Perché esiste una cultura che si è stratificata nel tempo, antica quasi come l’Italia unita che in nome e per conto di un pacifismo sciocco, politicamente sterile e storicamente pericoloso, ha finito per indebolire lo spirito nazionale. La questione è antica, tema di lunghissima riflessione che affonda le sue radici nelle modalità con cui si è realizzata l’Unità nazionale, soprattutto in quelle parti di Italia in cui de facto non c’era alcuno “straniero occupante”, e che ha visto le masse popolari escluse da un processo nazionale la cui narrazione è stata in parte costruita postuma, dall’unico Stato preunitario che ha finito per inglobare tutti gli altri.

Per non parlare delle politiche di quella che fu giudicata con quel lapsus abilmente narrato ne Il Gattopardo come “felice annessione” del sud e la conseguente nascita di quella “questione meridionale” che dal 1861 ad oggi giace ancora irrisolta. E non basta la spesso troppo esaltata “Italia letteraria” sognata dai poeti, cantata e immaginata, non basta perché la storia non si muove al ritmo metrico dei versi, ignora le figure retoriche, la storia in un certo senso è puro spirito mosso dalle passioni umane e come tale è il confluire di azioni, che possiamo giudicare positive e negative, ha una legge propria, e noi soprattutto oggi che preferiamo non studiarla finiamo per ignorare, salvo poi stupirci di quel che accade, quando in verità è ciò che è sempre accaduto, quello che Hegel avrebbe chiamato “schlachtbank”.

L’Italia per riscoprire lo spirito nazionale, per far nascere quel fuoco che alimenta i popoli ha dovuto attendere l’enorme sforzo storico della Prima guerra mondiale, che per noi dovrebbe essere la “quarta guerra d’indipendenza”, una definizione caduta in disuso proprio a causa di quella cappa culturale che impedisce di chiamare le cose con il loro nome, e che quotidianamente sminuisce e demonizza la nostra storia, con il riflesso negativo che ne consegue anche su quella che possiamo definire la vita pubblica del nostro paese. Gli equilibri con i quali siamo entrati nel secondo dopo guerra e le peculiarità del nostro paese hanno finito per acuire lo stato delle cose, ascrivendo ogni fenomeno “patriottico” al nazionalismo esaltato nel ventennio fascista. Fascismo che non essendo caduto da Marte, si pose la questione dell’identità nazionale, nelle forme ad esso più congeniali e ideologicamente compatibili.

Ma il tema dell’identità nazionale è ancora vivo e vibrante in un’Italia in cui l’attaccamento alla “Patria” non è mai venuto meno, e mai sono mancati i gesti di eroismo e coraggio di tanti cittadini e servitori dello Stato, in tempo di pace, come in guerra, e in quelle guerre che il nostro paese ha combattuto e combatte ancora oggi sul proprio territorio nazionale. Persino il “Pantheon” degli eroi è negato, lasciato alla memoria di pochi, quando mai come oggi questo paese necessità di una “religione civile” che lontana da essere il “manifestarsi del nuovo fascismo” è il sale di un popolo democratico, che per la propria democrazia ha lottato e versato sangue. Perché la storia è fatta con il sangue, per quanto amaro possa sembrare ai tanti esaltatori della fratellanza universale e della non violenza, valori come libertà e democrazia devono essere difesi, da qualsiasi minaccia.

Oggi il nostro paese è chiamato ad una grande prova di maturità storica, abbandona le culle dell’infanzia cui era stato costretto, e riabbraccia il mare della Storia, un mare che i tempi di oggi rendono periglioso, in tempesta. Ma un mare che un popolo che vuol essere artefice del proprio destino non può mancare di solcare. Non esiste forma più autentica di libertà, che la libertà di muoversi in quello spazio che è il nostro spazio “geopolitico”, ciò comporta dei rischi, ma l’inerzia come la storia recente ci insegna non garantisce né sicurezza né libertà.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.