Il commento
Il nuovo partito riformista non si riduca a stampella: la visione immobile e nostalgica della politica italiana
Le parole sono importanti, diceva indignato il morettiano Michele Apicella. Quindi se il partito riformista che non c’è parte come “la gamba” di qualcos’altro, parte malissimo. Perché non parliamo di una novità politica, ma di una stampella. E se si tratta di questo, vanno bene anche tutti i “federatori” che ogni giorno vengono proposti o si auto-propongono sui giornali. Un federatore-giardiniere che deve mettere insieme un po’ di cespugli.
L’analisi che ieri Goffredo Bettini ha offerto al Riformista non manca di acume, ma dà per scontata una premessa che scontata non è: la nuova forza politica deve essere funzionale al campo largo di Elly Schlein. In pratica, deve puntellare la sua deriva a sinistra (lui non la chiama così, ma giusto per fairplay). Emerge una visione immobile e persino nostalgica della politica italiana. Torniamo per incanto a metà anni ’90, con la trovata di un quanto mai manovriero Massimo D’Alema: visto che i socialisti e i laici ce li siamo fumati, anzi li abbiamo regalati a Berlusconi, e visto che da soli non ce la faremo mai, inventiamoci un Papa straniero. Lamberto Dini, poi Romano Prodi. Negli anni la storia è proseguita sullo stesso binario, con risultati più o meno fallimentari, visto che siamo ancora al punto di partenza. Perché la differenza fra una strategia e una furbata è proprio questa: la seconda forse paga nel breve periodo, ma dura un battito d’ali.
E, a proposito di federatori, tra un Sala e un Ruffini di maniera, Bettini lancia Francesco Rutelli come nome adatto all’impresa. Anche in questo si coglie un equivoco di fondo. È vero che Rutelli ha guidato la Margherita e ha co-fondato il Pd, ma non è un caso se già 15 anni fa sentì così forte l’inconcludenza del finto bipolarismo italiano da farsi da parte: prima dal Pd, poi proprio dalla politica. Da allora ha costruito un profilo culturale e politico senz’altro spendibile e, anzi, prezioso per la politica attuale. Ma solo come progetto alternativo agli attuali poli, lontano dagli steccati identitari della destra e della sinistra.
Lui potrebbe rianimare un riformismo liberale fondato sui contenuti e su una visione inclusiva che unisce molti valori: dal piglio del sindaco di Roma più efficace dai tempi di Nathan al modello di sviluppo green centrato sulla nuova occupazione e lontano da certi fanatismi europei, dalla rivoluzione digitale al servizio delle città intelligenti fino all’investimento in cultura, ricerca e formazione per i giovani che aspirano a diventare amministratori pubblici. Industria creativa, italian style, audiovisivo, agroalimentare. Il “soft power” caro a Rutelli sarebbe un ottimo collante di un nuovo progetto riformista pragmatico, fondato sulle idee e non sulla fantasia mediatica. Ma certo non all’ombra di qualcuno che, nell’eterno ritorno dell’uguale, non basta a sé stesso e sogna di chiamare “nuovo Ulivo” il suo provvisorio cartello elettorale.
© Riproduzione riservata