Caro Direttore,
ti voglio ringraziare per aver dato risalto, unico giornale italiano ad averlo fatto, alla interrogazione che ho rivolto due giorni fa alla Segretaria Generale del Consiglio d’Europa, Maria Buric, sulle condizioni di detenzione della parlamentare greca Eva Kaili, in custodia cautelare in un carcere belga dal 9 dicembre scorso a seguito dello scoppio del “Qatargate”. I legali di Kaili, come hai giustamente ricordato ieri, hanno denunciato una serie di privazioni ascrivibili a tortura a cui la deputata è stata sottoposta, e nessuno li ha smentiti. Sono privazioni fisiche e psicologiche degradanti e inumane, a partire dall’impossibilità di vedere con regolarità la figlia di appena due anni.

La Commissione Europea si è rifiutata di commentare questa vicenda, non volendo prendere posizioni su quello che ritiene essere un “caso individuale”. Ma questo non è un caso individuale. È un caso, certamente sì. Perché bisogna andare parecchio indietro nel tempo per trovare un parlamentare europeo detenuto in un carcere europeo e sottoposto a trattamenti ascrivibili alla tortura. Sono sorpresa che tutto questo passi sotto silenzio. Silenzio dagli esponenti del gruppo politico di cui fa parte Eva, il Partito Socialista Europeo. Neppure il Consiglio d’Europa, antica istituzione europea preposta proprio a vigilare sul rispetto dei diritti umani, ha speso una parola su Kaili fino alla mia interrogazione. Certo, Kaili è sospettata di crimini particolarmente odiosi da un punto di vista morale, di aver preso denaro sfruttando il proprio ruolo politico. Ma ha diritto, come tutti gli altri detenuti, ad un trattamento improntato al rispetto e all’umanità. E se così non fosse, bisognerebbe intervenire con fermezza.

Il problema però è proprio questo: Kaili è una politica, ed è divenuto molto molto impopolare difendere principi pur sacrosanti, se sono riferiti a politici. Un politico è indifendibile a prescindere, per lui non vale la presunzione di innocenza. Non vorrei mai che il trattamento riservato a Kaili volesse essere un trattamento esemplare. Lo dico rispettosamente, ma anche la risposta che la Segretaria Buric ha dato ieri mi è sembrata un pò sottomessa. Noto che c’è sempre più imbarazzo a far valere per i politici gli stessi diritti fondamentali che valgono per tutti gli esseri umani. E sono i politici stessi ad aver rinunciato a farlo per primi, non essendo un’attitudine che crea consenso. Il che non è un bel segnale per il futuro delle democrazie liberali.

Ora che in Italia si dibatte molto di riforma della giustizia e che torna prepotentemente alla ribalta la dialettica fra politica e magistratura (ma quando mai non è stata alla ribalta, negli ultimi trent’anni!), bisognerebbe parlare, e molto, del caso Kaili, perché è paradigmatico di tanti nodi irrisolti che rendono fragili le democrazie europee, quella italiana ma anche molte altre. E che vanno affrontati una volta per tutte. Spero che continuerai a tenere alta la guardia, e magari non più da solo.