Eva Kaili diventa Ifigenia, che incarna nel mito greco la vittima sacrificale delle colpe altrui. Paga in prima persona pur proclamandosi innocente. Era stata ascoltata e si era proclamata innocente. Ma rimarrà nel carcere belga di Saint Gilles secondo quanto deciso ieri dal tribunale di Bruxelles. Entro 24 ore può essere presentato un ricorso e l’ex vicepresidente del Parlamento europeo, nel frattempo espulsa dal Pasok, comparirà entro quindici giorni in Corte d’Appello. Solo a quel punto potranno riaccendersi per lei le speranze di tornare a prendersi cura di sua figlia, la piccola Ariadni di 22 mesi.

Non sono ancora note le accuse che le vengono rivolte. Aleggiano le nebbie sull’intera vicenda Qatargate. Si parla di denaro in contante, di servizi segreti, di trame oscure. Ma nel cuore delle istituzioni europee, in Belgio – sarà bene ricordarlo – quell’astruso reato che nella nostra legislazione è il traffico di influenze non esiste. Potrebbe esserci evasione fiscale, per lo più all’esterno della cerchia degli eurodeputati, visto che né Antonio PanzeriFrancesco Giorgi lo sono. Vacilla, per l’occasione, perfino l’inossidabile Ministro della giustizia, Carlo Nordio: «Sono un garantista anche in Europa e non conosco l’indagine sul Qatargate. Certo, la presunzione di innocenza si affievolisce quando trovi in una valigia con alcune centinaia di migliaia di euro. Diciamo che davanti al reato in flagranza il garantismo crolla». Crolla sicuramente ogni principio di diritto davanti alla fuga di notizie che di questo strano caso costituiscono l’aspetto imbarazzante. Gli avvocati non ricevono i documenti, ma sui giornali trovano nero su bianco tutti i dettagli sui loro assistiti. Incluse le dichiarazioni che Giorgi avrebbe reso nel segreto degli interrogatori, le sue espressioni facciali, i suoi stati d’animo. Invenzioni o coloriture della stampa, quando non esplicite dritte passate dalle Procure.

Di certo si sa che Eva Kaili si è professata innocente, estranea a qualunque macchinazione. Anche nella sua Atene la macchina giudiziaria prova ad affondare il colpo e ieri ha proceduto al sequestro di 7mila metri quadri di terreno che Kaili e Giorgi avevano acquistato insieme nell’isola di Paros: la proprietà sarebbe stata pagata con un bonifico proveniente da un conto corrente cointestato. Ovvero con una transazione tracciata, e nel modo più regolare. Ma poco cambia; si procede con i sequestri. E quand’anche ritroviamo nella sua dichiarazione pubblica redditi dichiarati per due milioni di dollari, il momento esige misure drastiche. Così si chiede da parte italiana. Enrico Letta non ha più aggettivi: «Situazione gravissima, siamo indignati», dice. «E facciamo nostra la proposta degli europarlamentari del gruppo socialista: subito al via una commissione di inchiesta sulle ingerenze internazionali sul Parlamento». Dal Nazareno, “parte lesa, sia chiaro”, parte lo stigma verso tutti coloro che abbiano avuto a che fare con Panzeri. È la volta di Andrea Cozzolino. L’europarlamentare dem ha chiesto di essere sentito dal giudice istruttore belga Michel Claise per “collaborare all’accertamento della verità”.

L’eurodeputato napoletano, non destinatario di avvisi di garanzia, è stato sospeso dal suo partito. Come se nel Pd sappiano fatti che la magistratura belga ancora ignora. «Il Pd mette in campo la sua abituale presunzione di colpevolezza. Appena sei raggiunto da un sospetto, da un dubbio, ti buttano a mare il prima possibile», tratteggia l’ex senatore dem Stefano Esposito, che l’allergia al garantismo tra i dem l’ha subita sulla pelle. Il capogruppo dei Dem a Bruxelles, Brando Benifei, che emerge qua e là nei brogliacci – e come non potrebbe? Coordina lui tutti – specifica al Riformista: «Penso sia normale esaminare le posizioni di tutti, ma le mie votazioni parlamentari parlano per me. Sul Marocco e sul Qatar le mie scelte sono trasparenti e sono sempre state antitetiche a quelle di Panzeri.  Ma l’inchiesta è in corso e ci sta che facciano domande anche su di me in quanto capodelegazione».

Sente però anche il dovere di precisare meglio: «Con Panzeri ci siamo frequentati quando eravamo in aula, poi non più. Non abbiamo più parlato di questioni internazionali da quando non era più parlamentare, soltanto a volte di partito e politica generale ma mai su discussioni o posizioni dell’Europarlamento. Forse perché sapeva che non ero influenzabile». La bufera che si sta abbattendo sulle istituzioni di Bruxelles offre un’occasione sul piatto d’argento agli euroscettici. Il premier ungherese Orbàn gongola: «Se vogliamo ripristinare la fiducia, è il momento di creare una nuova Assemblea composta da delegati nazionali». Gli risponde dall’aula l’eurodeputato Nicola Danti, di Renew Europe: «Abolire il Parlamento europeo, ecco la ricetta sovranista di Orban per ‘ripristinare fiducia’. Insomma, meno democrazia. Io dico invece che ce ne vuole di più, e ci vuole più politica, ma noi rispetto al premier ungherese siamo sempre da un’altra parte. L’amica Meloni invece?».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.