Letture
Quelle due amiche geniali nell’orribile Urss, in “Una vita per noi” si legge il crollo del comunismo
La storia dell’infanzia, dell’adolescenza, della prima giovinezza di Anja e della sua inseparabile amica Milka
Il romanzo di Kristina Gorcheva-Newberry, “Una vita per noi” (Lindau, traduzione di Thais Siciliano), è un piccolo, inatteso capolavoro. Sconosciuta da noi, la scrittrice è nata e cresciuta in Urss, paese che poi ha lasciato per gli Stati Uniti dove vive e lavora. E questo suo primo romanzo è stato ritenuto tra i migliori del 2022 dal New York Post.
Cos’è un capolavoro? È quel libro che incanta con i protagonisti del racconto, che fluisce e contemporaneamente illumina un mondo, un’epoca: “Una vita per noi” è esattamente questo. È la storia dell’infanzia-adolescenza-prima giovinezza di Anja e della sua inseparabile amica Milka (a noi italiani non può non venire in mente “L’amica geniale”): «La nostra amicizia era come i meli che ci circondavano. Sarebbe cresciuta e maturata e avrebbe dato dolci frutti».
Siamo tra la fine degli anni Settanta e la seconda parte degli Ottanta (per capirci, dalla morte di Brežnev all’avvento di Gorbacëv); dopodiché la Nostra se ne andrà in Virginia per ricominciare una nuova vita. Tornerà per andare a trovare i suoi genitori – ora c’è Putin al potere – per disseppellire un passato inevitabilmente sepolto per sempre in quell'”inferno post-socialista”: nulla da fare, brutto il passato, ancora più brutto il presente. È l’auto-condanna della Russia. Parliamo molto del comunismo, in Occidente, ma in realtà solo un “sovietico” sa rappresentare davvero la grande contraddizione tra una società morta e un’anima vivente, una lotta tra “fuori” e “dentro” che matura lungo quel decennio di transizione tra il vecchio mondo che muore e quello nuovo che è solo nebbia: «Sognavamo il grande amore, ragazzi belli e forti che potessero salvarci dai nostri genitori, dalle nostre case affollate, dai lavoretti incessanti». Un’esistenza bruciata in «quella distesa squallida e uniforme di edifici più simili a edifici che a case».
Così crescono le due amiche: scoprendo piano piano il mondo in un clima sospeso, mentre l’ormai vecchia Unione sovietica declina tra lo stupore del padre che ne riconosce gli orrori (ma non scorda la vittoria sul nazismo) e quel poco di sicurezza statale che il regime concede ai suoi sudditi. Mentre la madre ha già capito tutto: l’orribile Urss non ha senso, anche se non lo si può dire. «Esistevano solo due modi per sfuggire a quella vita: morire o disertare, che era un altro modo di morire ma più lentamente e senza dignità». In tutto questo Milka è più pazzerella di Anja, e lo sarà sino alla fine, quando Anja ha già optato per la razionalità che la porterà via da Mosca.
Ma prima ci sarà tutta un’adolescenza turbata e solo a sprazzi felice; una parvenza di felicità, amore torbido per Milka, più intellettuale per Anja. E domande, tante domande: «Intorno a noi, il desiderio di cambiamenti politici ed economici non fece che portare ulteriore sconforto e confusione. E poi discutevamo tra noi e ribollivano di domande alle quali nessuno poteva rispondere: ora siamo liberi? Possiamo andare dove vogliamo? Possiamo ascoltare Coj o i Queen? Possiamo comprare jeans Levi’s? E se Lenin e Stalin erano odiosi tiranni che avevano ingannato milioni di persone inculcando nuove credenze e avevano ammazzato tutti quei russi innocenti solo perché si erano ribellati, chi avrebbe guidato il paese nel futuro? E che cos’era il futuro?».
Sullo sfondo del romanzo di Kristina Gorcheva-Newberry c’è Čechov, il suo “Giardino dei ciliegi”, l’opera che ha consegnato all’umanità il ritratto della fine di un mondo, quello zarista, proprio come “Una vita per noi” fotografa il crollo del comunismo sovietico. Non sfuggirà che la giovanissima del “Giardino”, che rappresenta in qualche modo il futuro, si chiama Anja anche lei, che qui il personaggio arrivista Lopatin echeggia il Lopachin čechoviano e Trifonov l'”eterno studente” Trofimov del “Giardino”. Anche in questo bellissimo “Una vita per noi” i nuovi ricchi metteranno le mani sul meleto che il padre di Anja aveva coltivato per decenni: sempre si ripete la stessa storia russa, fatta di gelo, alcool e fame in un eterno ritorno di passioni e di morte.
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