All’inizio di “Moon palace“, romanzo di Paul Auster, il protagonista si ritrova in una casa disabitata. Ci sono solamente tante casse piene di libri. Non c’è un letto, quindi lui la notte dorme su queste casse di libri ben allineate, cioè dorme sulla letteratura, sulla filosofia, sulle parole.

Paul Auster, che ha lasciato questo mondo disseminando commozione ovunque, sta ora dormendo per sempre sui libri, a partire dai tanti scritti da lui, tutti quei romanzi che a noi hanno regalato momenti di quella vera gioia che solo i grandi scrittori sono in grado di distribuire a piene mani.

Altri hanno scritto di Auster ricordandone le decine di romanzi famosi, a partire dalla “Trilogia di New York” per finire all’ultimo, struggente e misterioso “Baumgartner”. Ci è parso che si sia un po’ dimenticato il penultimo libro austeriano, un’opera abbastanza clamorosa che si chiama “Ragazzo in fiamme – Vita e opere di Stephen Crane” (Einaudi, trad. di Claudia Mennella).

Chi è Stephen Crane? Non è notissimo al grande pubblico. Pur essendo un gigante della letteratura americana, degno di sedere nell’Olimpo degli Hemingway e dei Faulkner. Ora in questo libro Auster, con una meticolosità che ha del commovente, racconta Crane e la sua opera in un migliaio di pagine: ma non spaventi la mole, ché Auster non stanca mai.

Anzi, più scrive e più mette voglia di leggerlo – come Tolstoj – e dunque setaccia i minuti e le virgole di questo grande e misconosciuto scrittore dei primi del Novecento, il cui libro più celebre è “Il segno rosso del coraggio” (lo ha pubblicato Sellerio, tradotto da Alessandro Barbero), capolavoro della letteratura di guerra: «Il segno rosso del coraggio è anche un romanzo psicologico; anzi, trattandosi d’un libro che rispetta fedelmente le unità di tempo e di azione, bisogna dire che una percentuale insolitamente importante dell’azione ha luogo nella mente del protagonista. L’analisi delle pulsioni elementari che spingono Henry Fleming (ma per l’autore e per noi è sempre e soltanto “il ragazzo”) è un capolavoro non soltanto di introspezione psicologica, ma di studio delle dinamiche di gruppo», scrive Barbero nell’introduzione.

Ecco Crane: «Naturalmente può darsi che tutta la baracca si metta a scappare, se all’inizio si trova coinvolta in un grosso scontro, però possono anche rimanere e combattere da par loro: non c’è niente di sicuro».

La guerra è la proiezione fisica dell’imprevedibilità psicologica. Questa è grande letteratura. E Auster, attraverso Crane, parla del mondo, delle “piccole cose” come del mistero umano, lo fa con la grandezza di uno stile inimitabile che continuerà per sempre a riempire le giornate del mondo.