Per anni Raffaele Sollecito è stato considerato “il colpevole” insieme alla sua fidanzata di allora, Amanda Knox, per l’omicidio di Meredith Kercher il 1 novembre 2007. Nonostante l’assoluzione arrivata per entrambi in maniera definitiva nel 2015, Sollecito, ha continuato ad avere tantissimi problemi, legati a quella sciagurata vicenda. E il suo nome immediatamente collegato a quello del “colpevole”. Ma da uomo libero non ha mai smesso di lottare per ottenere il risarcimento prima per ingiusta detenzione, poi per veder riconosciuta la responsabilità civile dei magistrati che lo condannarono. Ma fin ora le sue istanze non hanno prodotto nulla se non un diniego.

A Repubblica Sollecito racconta per cosa chiede il risarcimento, i danni pratici che quella tremenda vicenda giudiziaria gli hanno portato. Quattro anni trascorsi in carcere da innocente, di cui sei mesi in isolamento, una carriera universitaria troncata a poche settimane dalla laurea, i problemi psicologici che ne derivarono, “le enormi difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, risultando agli occhi della gente un pregiudicato, se non addirittura colpevole, per un orrendo fatto di sangue”, il “deterioramento della capacità di stabilire rapporti con l’esterno, condizionati da stereotipi o pregiudizi sulla sua attuale condizione giuridica e sugli atteggiamenti che le persone pongono in essere rispetto alla vicenda giudiziaria che lo ha visto coinvolto”, e infine quei 600 mila euro di spese ancora da saldare fra legali e consulenti.

“Chiedo che mi venga riconosciuto ciò che mi spetta. La legge sulla responsabilità civile dei magistrati è entrata in vigore prima della mia assoluzione, ma né i giudici di primo grado né quelli dell’appello hanno ritenuto di doverla esaminare nel merito. Sostengono che i giudici che mi condannarono inizialmente non sapevano di poter essere soggetti a procedimenti, dunque la norma non sarebbe applicabile nei loro confronti. Noi invece sosteniamo che sia irrilevante, perché in questi casi è lo Stato a farsi carico del risarcimento ed è sempre lo Stato che decide se rivalersi o meno sui magistrati. Ricorreremo in Cassazione”, ha detto Sollecito oggi 38enne al Corriere della Sera.

Nonostante tutto ad oggi non gli è stato riconosciuto nulla. “Sull’ingiusta detenzione (la richiesta era di 500mila euro, ndr) si è espressa negativamente anche la Cassazione. Ho presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, spero riconoscano le mie ragioni”, ha continuato. Oggi Sollecito vive e lavora a Milano come cloud architect per grandi aziende. “Sono soddisfatto perché sto facendo carriera, tutto ciò che ho ottenuto e che otterrò è solo merito mio. Non mi ha mai aiutato nessuno”, racconta.

Racconta l’incubo di chi esce dal carcere con l’enorme peso della gogna mediatica addosso. “Potevo fare solo il libero professionista, poche aziende all’inizio mi hanno dato fiducia. Nei primi tempi è stato difficile perché, non avendo un curriculum particolarmente ricco, nei miei confronti c’era diffidenza. Fortunatamente le cose sono cambiate”. Una tragedia che si è abbattuta anche sulla sua famiglia. “C’è voluto del tempo per far passare i pregiudizi della gente anche nei confronti dei miei cari, per fortuna la cosa ora è stata metabolizzata. Ora vogliamo solo che ci vengano riconosciuto quanto abbiamo sofferto”.

Qualche giorno fa, Giuliano Mignini, il pm che si occupò all’epoca del caso, parlando del libro che ha scritto su quell’incredibile caso, ha raccontato di essere in contatto amichevole con Amanda Knox. Ma non vale lo stesso per Sollecito che ha deciso di non leggere nemmeno il libro. “non mi interessa. Ha provato a distruggere la mia vita, non ha mai cambiato idea e non ha mai chiesto scusa. Tutti possono sbagliare, ci mancherebbe, ma avrebbe potuto comportarsi diversamente. Ciò che fa con Amanda sono affari che non mi riguardano”.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.