Coppia fissa
Regionali, comunali ed Europee: la sinistra rischia di frantumarsi
Il campo largo di Schelin e Conte è nel caos tra accordi risicati e veti incrociati. Per Elly è come se le primarie fossero il diavolo: a Firenze va in scena l’autogol

Un Armageddon che rischia di mandare in frantumi alleanze, coalizioni e belle speranze. E se nel destracentro si litiga con la sordina imposta da Giorgia Meloni, nel centrosinistra va tutto in scena sulla pubblica piazza dei social, della tv e della stampa locale. La situazione è resa più complicata dal fatto che nello stesso giorno, tra il 9 e il 10 giugno, si voterà con il proporzionale per le Europee e con il maggioritario alle comunali.
Il destracentro è destinato così a fare le sue primarie di coalizione, a misurare distanze e consensi, a circa due anni dal voto. Nondimeno nel centrosinistra. Dove lo schema è sempre un po’ lo stesso degli ultimi due anni: il Campo largo di Schlein e Conte e sinistra per le amministrative (circa 3700 comuni al voto di cui tredici superano i centomila abitanti: Bari, Bergamo, Cagliari, Ferrara, Firenze, Forlì, Livorno, Modena, Perugia, Pescara, Prato, Reggio Emilia e Sassari). Poi però il Movimento mette la distanza e attacca perché deve anche pensare alle Europee e a farsi votare. Dinamica questa che riguarda un po’ tutti i partiti. E allora la parte più progressista e riformista del partito, quella che aderì al progetto e allo spirito del Lingotto nell’ormai lontano 2007, e quella che ha perso il congresso perché ha votato Stefano Bonaccini, si ritrova messa da parte senza neppure un perché.
Oltre a questo, ci sono poi le dinamiche personale, liti, rivalsi, la pretesa di mettere uomini o donne fidate per continuare a controllare città o regioni pur non potendo più fare né il sindaco né il governatore. Ci sono poi anche cinque regioni in scadenza: Sardegna, Basilicata e Abruzzo tra gennaio e marzo; Umbria e Piemonte più avanti ma sempre nel 2024. Un caos primigenio che intreccia europee, comunali e regionali con candidature che pesano e da cui dipende la leadership di Elly Schlein. Mentre quella di Giorgia Meloni sembra non correre mezzo rischio.
Dai programmi alle candidature
Il Nazareno fa sapere che la discussione oggi è prima di tutto sui programmi. Ma elettori e tesserati si stanno invece litigando sulle candidature. Le prime due regioni al voto, ad esempio. In Sardegna la decisione di candidare l’ex sottosegretario cinque stelle Alessandra Todde senza passare neppure da un’idea di primarie hanno spinto l’ex governatore e l’ex eurodeputato Pd Renato Soru a lasciare il partito e lanciare la sua lista. “Ma da quando in qua a Roma Pd e Cinquestelle decidono cosa va bene per la Sardegna?”. La “Rivoluzione gentile” sta girando paese dopo paese la sua Sardegna. Schlein non pervenuta. Con un imprenditore che ha contribuito a fondare il Pd. Non buono. In generale diciamo che non si fa così. In Basilicata il titolo si scrive da solo: due centrosinistra – o magari anche tre – per un solo caos. Angelo Chiorazzo è l’imprenditore di “Basilicata casa comune” indicato dal segretario regionale del Pd Giovanni Lettieri. “Il suo profilo – ha detto – offre al tavolo del centrosinistra un fattore di novità che potrebbe aggregare elementi della società civile e allargare la base del consenso elettorale”. Peccato che Chiorazzo sia il candidato di Speranza e almeno il 30 per cento del Pd locale, capitanato dall’ex senatore Margiotta non ne voglia sapere. E mica finisce qui il caos in Basilicata: i Cinque stelle ancora non sciolgono le riserve ma non ne vogliono sapere di Chiorazzo. Neppure Pittella, un altro potente locale, lo vuole. Italia Viva è wait and see. I socialisti chiedono primarie. Gira il nome di un altro imprenditore, si chiama Lorenzo Bochicchio. “Con lui sarebbe forse già facile unire il centrosinistra”, dice un dirigente Pd locale che aggiunge: “Perché mai non si candida direttamente Speranza?”.
L’unica buona notizia è che non si sa ancora bene quando si voterà: marzo, prima, dopo? In Abruzzo le cose vanno decisamente meglio con un’alleanza già decisa tra Pd e M5s. Il candidato comune è l’ex rettore di Teramo Luciano D’Amico che se la vedrà con l’uscente Marsilio (FdI) intenzionato a bissare. Qui c’è la data, il 10 marzo. Per Umbria e Piemonte c’è più tempo, si va dopo le Europee ma è chiaro che la partita qui è unica. In Piemonte Elly Schlein vorrebbe mettere in campo la fedelissima Chiara Gribaudo, capogruppo alla Camera. Ma perderebbe una colonna in Parlamento.
La situazione non migliora se si dà un’occhiata alle comunali. Quasi quattromila comuni, s’è detto, tredici sono capoluoghi di provincia. Prendiamo la Toscana, perché si vota a Firenze, Prato e Livorno, tre città saldamente in mano al centrosinistra. Ma se Salvetti (Livorno) sarà ricandidato per il secondo mandato, Nardella (Firenze) e Biffoni (Prato) sono entrambi a fine corsa. E gestire il passaggio sembra impresa assai ardua. Il problema è che in Toscana la posta in palio è più alta che altrove: le destre vogliono fare bene in questa tornata di giugno 2024 per poi puntare alla Regione. Fare bene a cominciare da Firenze. La segretaria non ha ancora proferito verbo sulla candidatura.
“Lavoriamo ai temi”, è il refrain che sembra però un po’ stantio. Anche qui ci sono vari possibili candidati, la cosa giusta sarebbe fare le primarie che però sembrano diventate un tabù. Per palazzo Vecchio il sindaco uscente Dario Nardella sta blindando la candidatura dell’assessora Sandra Funaro (dopo aver blindato in Parlamento quella di Federico Gianassi e di Cristina Giachi in Regione). Un piccolo esercito nardelliano per il post Nardella. E però c’è il terzo incomodo che si chiama Cristina del Re: alla ex assessore più votata nella storia recente di Firenze (tremila preferenze nel 2019) improvvisamente indigeribile per il sindaco che le ha ritirato tutte le deleghe, è venuta la malsana idea di chiedere le primarie. Anzi, per lei le hanno chieste circa mille e cinquecento persone che il 15 novembre si sono ritrovate al Tuscany Hall per spingere la sua corsa verso Palazzo Vecchio. Pare che Nardella, spiazzato da tanto consenso, si stia muovendo con i responsabili dei circoli per blindare Funaro. Ma nessuno sta interpellando la base. In tutto ciò Matteo Renzi osserva la scena e non esclude di mettere in campo una sua candidatura. A Prato la situazione è se possibile ancora più intrecciate. Ora, una cosa non è chiara: Elly Schlein deve tutto al meccanismo delle primarie visto che senza Stefano Bonaccini sarebbe diventato segretario. Da quando è segretaria, è come se fossero diventate il diavolo.
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