Il Ministro della Giustizia Marta Cartabia, nell’indicare il nome da proporre come capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, resta nel solco già tracciato in passato: un magistrato. L’importante, e rilevante novità, è quella che il togato non è un pubblico ministero e soprattutto non ha un passato nella Direzione Antimafia. Carlo Renoldi, il prescelto, è attualmente giudice della I sezione penale della Cassazione ed è stato magistrato di Sorveglianza a Cagliari.

Più volte ha dichiarato di avere come guida nel suo lavoro il collega Alessandro Margara, autore della riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975, che ha fatto prevalere l’aspetto rieducativo su quello punitivo della sanzione, secondo i principi scolpiti nella Costituzione del 1948. Un nome, dunque, in linea con le dichiarazioni pubbliche che il Ministro ha fatto sin dall’inizio del suo mandato: un carcere diverso, non in contrasto con la nostra Carta. Immediatamente i professionisti dell’Antimafia hanno fatto conoscere il dissenso sulla scelta. La loro “voce” quotidiana ha titolato sul sito: «Al DAP è favorito il giudice che vuole allentare il 41 bis» e ancora «Renoldi si scaglia contro l’Antimafia ed è contrario all’ergastolo ostativo». Nell’articolo poi anche la critica, imbarazzante quanto intollerante, ad alcuni interventi del designato che elogiavano i provvedimenti della Corte Costituzionale sull’esecuzione della pena.

Tutto lascia, dunque, intravedere un dibattito politico serrato sull’indicazione del Ministro della Giustizia, in quanto la nomina dovrà essere deliberata dal Consiglio dei Ministri e poi perfezionata con decreto del Presidente della Repubblica. In un Governo, che vede la presenza della Lega e del Movimento 5 Stelle, partiti che hanno fatto del carcere duro uno dei loro principali cavalli di battaglia, il passaggio non sarà affatto semplice. I così detti “giustizialisti” – termine abusato e affatto idoneo a descrivere coloro che di giustizia hanno un concetto del tutto personale e fuori da ogni canone giuridico – si batteranno per avere a capo del Dipartimento l’ennesimo magistrato inquirente proveniente dalle fila dell’Antimafia, gli unici, a loro avviso, a poter sovrintendere all’amministrazione penitenziaria, come se nelle nostre carceri ci fossero solo mafiosi. Eppure, proprio a questi ultimi – con l’eccezione dei pochissimi irriducibili capi, che si contano sulle dita di una mano – più di ogni altro, dovrebbe essere destinato il trattamento rieducativo previsto dall’articolo 27 della Costituzione.

Un percorso di responsabilizzazione personale che la vita probabilmente non gli ha offerto, per essere nati in contesti criminali che non hanno dato loro la possibilità di altre scelte. Lo Stato deve mostrare le proprie capacità ad offrire altre chances a tutti i detenuti, anche a quelli condannati per reati associativi. Le strade percorse in passato – peraltro spesso in violazione di legge – sono state perdenti ed è giunta l’ora di quel cambio di passo, di quella rivoluzione culturale che, da tempo, i giuristi – e tra questi in prima fila, tra gli altri, gli avvocati dell’Unione Camere Penali – attendono. L’augurio è che il presidente del Consiglio Mario Draghi sappia, anche in questo caso, mettere in riga gli oppositori all’indicazione del nome prescelto. La nostra speranza è che egli ricordi le parole pronunciate al carcere di Santa Maria Capua Vetere – dove accorse insieme al Ministro della Giustizia – dopo la mattanza subita dai detenuti da parte di alcuni componenti la Polizia Penitenziaria: «Siamo qui ad affrontare le conseguenze delle nostre sconfitte. Venire qui oggi significa guardare da vicino, di persona per iniziare a capire».

Ed è giunto speriamo il momento di capire che una nuova modalità di gestire l’esecuzione penale è possibile. La legge in parte la indica già e la riforma dell’ordinamento penitenziario, scritta ma ignorata, dopo gli Stati Generali, l’ha perfezionata. Un capo dell’amministrazione che abbia come bussola, nel suo navigare, la Costituzione è un elemento imprescindibile. Sappiamo che la scelta fatta dal Ministro va in questo senso e ci auguriamo che la nomina si realizzi. Se ciò avverrà, saremo solo all’inizio di un’ennesima non facile battaglia, come senz’altro sa bene il designato. Potrà contare sul sostegno di noi tutti, inguaribili difensori della giustizia, quella autentica.