Ha ambizioni più ampie ed è capace di ricaschi diffusi il provvedimento con il quale Donald Trump riserva ai ribelli yemeniti, i cosiddetti Houthi, il trattamento cui sono affidate le organizzazioni terroristiche straniere.

Non è il tratto di penna che imprime un cambio nominalistico sulla salvaguardia che la precedente amministrazione, per ragioni improbabili, aveva ritenuto di concedere a quell’ennesimo proxy iraniano; è invece la premessa – vedremo quanto effettiva e quanto gravida di fatti conseguenti – di una possibile sterzata dell’andazzo acquiescente che la comunità internazionale, per mesi e mesi, aveva deciso di lasciar correre mentre – senza far nulla – assisteva non solo ai lanci di missili e droni degli Houthi contro Israele, ma anche al bombardamento dei navigli commerciali sistematicamente bersagliati da quel fronte meridionale della guerra contro l’Occidente.

Se a contrastarla non fosse bastata l’oggettiva inaccettabilità per cui si segnalava quella presenza di terrorismo guerresco, che andava ben oltre le minacce e le rivendicazioni aggressive, la campagna degli Houthi avrebbe dovuto fronteggiare tempestive azioni ed efficaci misure di contenimento anche solo per il danno incalcolabile che arrecava alla stabilità di un’intera regione e, soprattutto, alle economie di almeno tre continenti. Al traffico della navigazione – crollato del 50% e, per alcuni settori, anche ben di più – si aggiungeva il pericolo di notevoli incrementi inflattivi globali sui beni di consumo, il che non significava una pelliccia in meno per qualche dama occidentale o un viaggio alle Maldive rinviato ma, letteralmente, più fame per le moltitudini che ne hanno già abbastanza.

Che un ordine presidenziale possa autonomamente porre rimedio alla situazione è ovviamente fuori discussione, ma stona significativamente nel coro dei leader ammutoliti che, meno per realismo che per stolidità, hanno creduto di poter considerare la crisi yemenita come una fungibile componente del conflitto che coinvolge Israele. L’impassibilità della comunità internazionale, e di tante cancellerie europee, a fronte dello stillicidio di attacchi di cui si sono resi responsabili i cosiddetti ribelli Houthi ai danni di vettori e personale di qualsiasi nazionalità si spiega anche, anzi in modo preponderante, in quel modo: anziché cogliere la portata devastante, per tutti, di quegli attacchi, quei leader occidentali hanno preferito credere e far credere che si trattasse di episodici incidenti da mettere sul conto del dissidio israelo-palestinese e di chi, dopotutto, si accaniva a tenerlo acceso, cioè lo Stato Ebraico.

Come i quattrocentocinquanta missili e droni iraniani su Israele, come le migliaia di analoghi ordigni di Hezbollah, anche gli attacchi degli Houthi erano dopotutto l’effetto della guerra di Gaza: una retorica che avrebbe dovuto rimanere patrimonio esclusivo dei gentiluomini dell’asse del male, e di cui invece si è fatto ventriloquo il complesso delle diplomazie occidentali. Semplicemente, e tragicamente, perché aveva in antipatia lo Stato Ebraico più di quanto teneva ai propri mercantili affondati.

Ci sarebbe altro da considerare. Le preoccupazioni umanitarie richiamate a sorreggere ogni politica di inerzia pur davanti a una minaccia – quella degli Houthi – che non aveva davvero bisogno di dimostrazioni ulteriori per essere opportunamente soppesata, sono le stesse che per anni e anni si facevano latitanti mentre il popolo yemenita soffriva devastazioni inimmaginabili. Erano centinaia di migliaia di morti con il difetto di non essere imputabili alla soperchieria occidentale o alle istanze genocidiarie di Israele.

Infine, una singolare concomitanza. Gli Houthi hanno ora rilasciato l’equipaggio della nave commerciale Galaxy Leader sequestrata più di un anno fa. Chi attribuisse questo sviluppo alla riconoscenza degli Houthi per la tregua di Gaza si renderebbe colpevole di qualcosa di peggio che di un errore di valutazione. Così come farebbe peggio che sbagliare chi salutasse con entusiasmo la promessa degli Houthi di prendere di mira, adesso, solo le navi coinvolte in affari con Israele.