Letture
Riscoprire Elegia americana di J. D. Vance, il vice di Trump e la contro-narrazione dell’ottimismo obamiano
“Mi chiamo J. D. Vance e penso che dovrei cominciare con una confessione: trovo l’esistenza del libro che avete in mano piuttosto assurda”. Inizia così “Elegia americana” del candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti Vance, un po’ a sorpresa chiamato da Donald Trump ad accompagnarlo nella cavalcata che si concluderà a novembre quando quest’ultimo o Kamala Harris entreranno alla Casa Bianca.
Esce nuovamente per Garzanti questo libro scritto otto anni fa (traduzione di Roberto Merlini) e c’è da dire che è scritto benissimo, con un tono ben lontano da quelli dei comizi selvaggi con i quali sta andando a caccia di voti per The Donald.
Avete visto l’incipit, sembra uno scrittore americano classico, ironico: “Ho trentuno anni e sono il primo ad ammettere di non avere realizzato nulla di particolare nella mia vita, perlomeno nulla che dovrebbe indurre un perfetto sconosciuto a sborsare dei soldi per leggerlo”. Dopodiché Vance fa della sua normalità l’occasione per gettare il suo sguardo nelle profondità americane, e la cosa diventa interessante, perché un normale ragazzo nato e cresciuto nell’Ohio (toh, uno “Stato-chiave”) ti fa capire come “i proletari bianchi sono il gruppo sociale più pessimista d’America”, celebrando l’America profonda di classe operaia dei bianchi degli Stati Uniti che un tempo riempiva le chiese, coltivava le terre e faceva funzionare le industrie. Quel mondo non c’è più, al suo posto solo ruggine e rabbia.
Vance diventa così il cantore della contro-narrazione dell’ottimismo obamiano e dunque un presupposto forte della rivalsa bianca e classista dell’America di Trump. A poche settimane dal voto che in un modo o nell’altro cambierà la faccia del mondo, quello di J. D. Vance – comunque la si pensi – è un libro che si può leggere.
© Riproduzione riservata