Ex imperatore di Foggia morto in povertà
Ritratto di Pasquale Casillo: il Berlusconi del Sud distrutto da Pm, camorra e giornali
C’era una volta un uomo nato benestante, diventato ricco, morto povero. Con l’aggravante che venne iscritto al casellario civile: fallito. Si chiamava Pasquale Casillo, nato a San Giuseppe Vesuviano e vissuto a Foggia, città d’adozione. Lo chiamavano tutti Pasquale, nell’immaginario della gente era il “re del grano”, l’inventore di “Zemanlandia”, era un signore del Sud che dava del tu all’Avvocato Gianni Agnelli. In una intervista al quotidiano la Repubblica, Silvio Berlusconi affermò che «nel Mezzogiorno c’era uno più ricco di lui». Era don Pasquale. Giramondo, raccontava che nei suoi viaggi in Russia aveva un giovane autista che si chiamava Roman Abramovich. Oggi Roman è il proprietario del Chelsea. Casillo aveva zone di intervento un po’ in tutto il mondo. Possedeva un intero molo al porto di New York.
È morto qualche giorno fa a 71 anni, all’ospedale di Lucera, in provincia di Foggia, quasi in solitudine. Cancro ai polmoni. Tempo fa aveva subito due infarti. Dietro il volto sorridente e bonario si nascondeva una forte, complessa e spigolosa personalità. Non gli mancava la vis polemica, anzi, talvolta era eccessiva, al vetriolo, e avrebbe potuto evitarla per non farsi tanti nemici. Nessuno come lui aveva un grande fiuto per gli affari. Don Pasquale, che non era mai solo, ha subito negli ultimi anni l’onta del mancato sostegno e conforto della folla plaudente al suo seguito, come avveniva negli anni ruggenti, quando Foggia era la città del “miracolo”, grazie alla squadra di calcio in serie A con l’allenatore Zdenek Zeman. In quegli anni c’era la processione, come se Don Pasquale fosse il santo protettore di Foggia.
Il capostipite della famiglia, Gennaro, commerciante di frutta secca e cereali, originario di San Giuseppe Vesuviano, un giorno, quando Pasquale era ragazzino, decise di trasferirsi con armi e bagagli a Foggia. Il giovane Casillo, nel giro di poco tempo, a 25 anni, costruì il suo El Dorado divenendo uno dei più importanti commercianti di grano d’Europa. Mise su un gruppo molitorio di 58 aziende con il fratello Aniello, – al netto del Foggia calcio- che produceva il 10% della semola dell’Unione europea, fornendo il 60% del fabbisogno della Buitoni, con una flotta di 250 navi e un parco di 250 Tir, un numero impreciso di mulini sparsi per il Vecchio continente, con un fatturato di 3000 miliardi di lire all’anno. Poi, all’improvviso, arrivò la malagiustizia. Fu accusato, come al solito quando non si trovano reati, di concorso esterno in associazione mafiosa. Andò in carcere nel 1994 e aspettò fino al 2007 per essere scagionato da tutte le accuse dal Tribunale di Nola, su richiesta della Procura. Formula piena per non aver commesso il fatto. ma dopo 13 anni di tragedia.
Chi lo aveva tirato in ballo fu il pentito camorrista Pasquale Galasso, accusandolo di avere rapporti con il capo della camorra, Carmine Alfieri, a cui era affiliato. E per di più, il pentito inguaiò il leader Dc nonché capo della corrente dorotea, Antonio Gava, incolpato di avere rapporti con il camorrista Nuvoletta. Dopo una traversia giudiziaria durata anche quella 13 anni, l’ex ministro dell’Interno venne assolto in appello definitivamente e il suo avvocato chiese un risarcimento allo Stato di 38 milioni di euro.
A Poggioreale, Casillo fu messo sotto pressione dai pm, ma lui non accusò mai alcuno. Al contrario, Galasso “cantò” del rapporto di Alfieri con il mondo del calcio indicandolo come colui che aveva le mani in pasta per l’acquisto, per conto di Casillo, del Napoli e quello alle viste della Roma. Questi non si rassegnò a portare addosso il marchio del camorrista, una sorta di “Lettera scarlatta”, e si mise di buzzo buono per trovare la chiave delle sue disavventure giudiziarie e personali, che lui definì, in poche parole, “congiura”, con la regia di un intreccio di poteri forti che muovevano il combinato disposto di mezzi di informazione e del partito dei pm.
Suoi strenui avversari furono, da una parte, l’onorevole Franco Cafarelli, democristiano di Foggia e segretario della Commissione bicamerale dell’antimafia nella XI legislatura e alcuni esponenti di Rifondazione comunista pugliese e dei post comunisti; dall’altra, in modo ciclico, Franco Ambrosio di Ottaviano anche lui nel settore dei cereali, formatosi nella “scuola” di Casillo senior, padrone del gruppo Italgrani, legato alla Dc di Giulio Andreotti. Cosa successe? Dopo il suo arresto, di botto le banche gli voltarono le spalle e il “re del grano” si trovò “senza corona e senza scorta”. Nonostante fosse azionista nel credito: Banca Mediterranea e Caripuglia, nel maggio 1994, su istanza del Banco di Napoli finiscono in Tribunale i libri contabili della “holding” “Casillo grani Snc”. Di fronte a un pool di banche, coordinate dall’Abi che aveva offerto un finanziamento ponte di 100 miliardi di lire, ci fu la netta opposizione dell’amministratore giudiziario del gruppo. Di qui scattò di soppiatto l’istanza di fallimento, richiesta dai creditori della società capofila.
Col passare dei mesi e degli anni, lo Stato distrusse il suo “impero”, con amministratori giudiziari che non tennero conto di nulla, se non di farne carne di porco. Una storia ignobile che non fa onore alla magistratura. Pasquale fu arrestato davanti al figlio Gennaro di 9 anni, in una vicenda ordita dalle menzogne di un pentito infame che distrusse la vita della famiglia Casillo, mettendo sul lastrico 3000 dipendenti, in una terra in cui l’occupazione si cerca ancora con il lanternino. Non finisce qui. Don Pasquale fece risorgere, come editore, l’antica testata di Achille Lauro, Il Roma, direttore Domenico Mennitti, che vedeva tra i giornalisti, nomi di spicco come quelli di Luciano Lanna, Carmelo Briguglio, Pierangelo Buttafuoco.
Beninteso, ricco e potente non significa famoso. Basti citare, ad esempio, Serafino Ferruzzi. Divenne celebre solo dopo la morte dovuta all’incidente aereo come uno degli imprenditori di granaglie più ricchi al mondo. Casillo diventò famoso con l’acquisto del Foggia Calcio e la scelta di Zeman come allenatore. Senonché alla coppia Casillo e Zeman nessuno avrebbe dato credito allora. E invece sugli outsider alcune volte bisognerebbe puntare. Non bisogna mai sottovalutarli. “Zemanlandia” non era un modulo calcistico bensì un modo di fare calcio. In poco tempo il Foggia entrò nel gotha del calcio italiano e le maglie dei suoi calciatori furono tra le più vendute dopo quelle di Real Madrid, Barcellona, Juventus, Milan e Inter.
A proposito del Real Madrid, come dimenticare che Don Pasquale comprò un’amichevole di lusso proprio con le Merengues? Sì, i “Blancos” giocarono allo stadio Zaccaria. Ma non fu la sola squadra famosa che mise piede nella città Dauna. Fu un’epopea straordinaria, quella del “Foggia dei miracoli” che dalla C risalì in A, incantando i tifosi del calcio per il suo gioco offensivo grazie al trio delle meraviglie Baiano – Signori – Rimbaudi.
Casillo ebbe altre squadre, tra cui l’Avellino con cui cercò di ripetere il “miracolo”, senza dimenticare le compartecipazione nel Bologna e nella Salernitana. E rilevò un’altra volta il Foggia Calcio, ma dopo 2 anni la lasciò in seguito alla mancata promozione dalla Lega Pro Prima Divisione alla serie B, però nacquero i campioni di oggi come Romagnoli, Insigne, Sau e Farias. Un anno fa Pasquale Casillo scrisse al presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Mi hanno accusato ingiustamente. Ho perso tutto e sono stato assolto. Ora rivoglio dignità». Come nel romanzo di Gabriel Garcia Marquez “Nessuno scrive al colonnello”, a Don Pasquale la risposta non è mai arrivata.
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