La proposta di legge di iniziativa popolare “La Partecipazione al Lavoro: per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori” della CISL è una ventata d’aria fresca tra chi continua ad alimentare la necessità di un conflitto Capitale/Lavoro e chi è incapace di comprendere i mutamenti avvenuti, e ancora in corso, nella struttura socioeconomica della nostra società.

Mi hanno colpito molto le premesse, che condivido totalmente e di cui riporto un piccolo stralcio per me molto significativo:

“È l’idea questa di una democrazia che non si fermi a una costruzione fondata sul conflitto tra soggetti portatori della mera rappresentanza di interessi di classi o gruppi sociali, ma piuttosto sia destinata a progredire in una dimensione realmente partecipativa e cooperativa, lontana dalle velleitarie utopie della democrazia diretta ma di essa realisticamente interprete.
Ebbene, i tempi correnti, la disaffezione dei cittadini alla politica, la sfiducia nei confronti del futuro economico della nazione, testimoniata anche dal crescente accumulo di risparmio precauzionale da parte delle famiglie e dalla riduzione degli investimenti nelle imprese, non possono non allarmarci e non possono non richiamare la nostra attenzione a quell’embrione di democrazia economica che l’articolo 46 aveva tentato di introdurre nel nostro sistema economico, a partire dai lavoratori, cioè da coloro che per primi ad esso partecipano attivamente con il proprio impegno quotidiano.La democrazia economica può e deve essere uno strumento di coinvolgimento diretto dei cittadini nella vita del Paese attraverso il quale i cittadini e le cittadine possano, sempre richiamando il dettato costituzionale, svolgere pienamente la propria personalità”.

Questo passaggio coglie il punto fondamentale a mio avviso: la paura del futuro, la dimensione dei problemi che sembra sfuggire dal controllo di ognuno di noi, l’impotenza sono sintomi di una febbre più profonda, ovvero quella della profonda frustrazione provocata dalla sensazione di non riuscire più a incidere nella vita di ogni giorno, sia da parte dei cittadini che delle istituzioni, a causa della complessità dei problemi che non consente soluzioni semplici. Provare a dare risposta a questa febbre, e ai suoi relativi sintomi, attraverso una rivoluzione democratica e partecipativa anche nel mondo del lavoro, lì dove si genera il valore delle nostre azioni, che ci gratifica ed emancipa come individui, può contribuire a ridare slancio a una tendenza che le nuove generazioni di lavoratori sembrano aver perso: la capacità di vedere nel futuro un miglioramento della propria condizione socioeconomica.

Le innovazioni che la CISL si propone di portare avanti sono varie in tal senso, e tutte mirate all’obiettivo di una piena attuazione dell’art.46 della Costituzione che già quasi 80 anni andava oltre lo scontro di classe recitando così: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.”
Citandone alcune: Cogestione nei consigli di sorveglianza e nei consigli di amministrazione, integrazione nei CdA delle società a partecipazione pubblica di almeno un rappresentante dei lavoratori, partecipazione agli utili d’impresa, l’accesso contrattuale dei dipendenti a piani di azionariato diffuso e la possibilità da parte degli azionisti-lavoratori di affidare i diritti di voto a specifici trust, per la gestione collettiva dei diritti derivanti dalla partecipazione finanziaria, meccanismi premiali per le imprese che coinvolgano i lavoratori in progetti innovativi e per i lavoratori che si impegnino a contribuire all’innovazione e all’efficientamento dei processi produttivi, maggiore livello di consultazione in via preventiva e obbligatoria dei lavoratori.

Se dovessimo sintetizzare in un concetto organico questa proposta, potremmo dire che trasforma la visione conflittuale del mondo del lavoro in un modello di piena corresponsabilità, che comprende l’esigenza storica di integrare visioni diverse per preservare equilibrio e benessere in un tempo in cui variabili esterne più grandi degli attori in gioco ne minano la stabilità. Fare squadra tra parte datoriale e lavoratori per affrontare sfide che possono esser vinte solo uniti. Continuare a coltivare l’idea che sia ancora possibile ottenere qualcosa in un rapporto conflittuale con il mondo della produzione è tipico di chi ancora oggi non comprende come le distorsioni si annidino nelle moderne proprietà eminenti e nella loro spregiudicatezza, quelle fuori dal raggio d’azione e di controllo nazionale, le rendite che impoveriscono l’economia reale e che bloccano la mobilità sociale e la relativa emancipazione, la mancanza di effettiva libera concorrenza in molti settori della nostra economia.

Dicevo all’inizio che si tratta di una vera boccata d’ossigeno, anche e soprattutto perché cerca di andare oltre lo stantio dibattito tra i “buoni”, quelli del salario minimo senza ne capo ne coda, e i conservatori dello status quo: questa campagna è uno spazio di libertà intellettuale che consente di ripensare a fondo il mondo del lavoro e affidargli un rinnovato ruolo nel rafforzamento democratico del nostro Paese. Un pensiero terzo, che permette di superare la zuffa e guardare con spirito costruttivo e ottimismo al futuro.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna