La riunione del Consiglio supremo di Difesa, da parte di Mattarella, impone al tema delle spese militari un upgrade istituzionale. Si esce così dalla polemica del premier time in Senato e si hanno più chiare le intenzioni del governo. Pur nel rispetto del segreto di Stato cui è sottoposto il Consiglio stesso. Il libro bianco della Difesa e la sicurezza delle infrastrutture restano i due punti essenziali del dibattito. Palazzo Chigi ha detto chiaramente che l’Italia raggiungerà l’obiettivo del 2% del PIL per i finanziamenti della Nato entro la fine dell’anno. Al momento siamo appena sotto l’1,5%. Dovremmo allinearci con la Germania (2,12%), la cui corsa agli armamenti, però, è ben più ambiziosa.

La questione non si limita a un esercizio contabile. Al netto che maggiori spese richiedono anche operazioni di efficientamento – e che quindi gli scostamenti per i quali Giorgia Meloni è stata criticata non si riducono a una supercazzola – c’è l’intenzione di valorizzare una filiera della Difesa competitiva a livello internazionale e che interessa territori produttivi strategici, come bacino elettorale, anche per chi è contrario a un piano di riarmo. La Lega che critica il finanziamento a nuove armi e nuove guerre, perché così non si è amici degli italiani, è la stessa che poi si confronta con gli imprenditori del varesotto, cuore pulsante dell’Aerospazio Made in Italy.

D’altra parte, al Colle sta a cuore uno scenario di maggior respiro. In un clima di tensione frammentata, qual è il ruolo del nostro Paese? L’Italia che strumenti ha a disposizione per reagire alle crisi che si accavallano di giorno in giorno? Dai conflitti noti e irrisolti, in Medio Oriente e Ucraina, alle guerre ibride. Passando per gli attacchi informatici di cui siamo già stati vittima. Fino a dove si può proiettare il nostro strumento difensivo? Si potrebbe dire, per riprendere il titolo di un recente convegno organizzato dal Centro studi militari aeronautici (Cesma), “proiettare lo strumento Aerospaziale… Ovunque!”. Aeronautica che è un po’ nell’occhio del ciclone perché potenzialmente sarebbe la diretta interessata qualora l’Italia adottasse Starlink come strumento di sicurezza satellitare. Tema ancora da chiarire. Tanto più che queste decisioni sono da prendere a livello Nato.

Per l’Italia, il discorso Difesa è tridimensionale: europeo, transatlantico, industriale. Appena due giorni fa Parigi il neo cancelliere tedesco Merz si è incontrato con Macron. Poi è andato a Varsavia in visita a Tusk. Ne è emersa l’intenzione di creare un nuovo “Consiglio di Difesa e sicurezza”. Il progetto – l’ennesimo, dopo la coalizione dei volenterosi, il piano Readiness 2030 e varie altre iniziative – può anche partire dalle migliori intenzioni. La Russia è alle porte, gli Usa se ne vanno, l’Ue deve fare da sé. Questo l’abbiamo capito. Tuttavia, il triangolo di Weimar sarebbe un “rieccolo” geopolitico, che imporrebbe a noi, inglesi e spagnoli di adeguarsi a un soggetto già fatto. Voluto peraltro da leader più o meno deboli. La Polonia ha le presidenziali tra nove giorni. Si prevede che verrà eletto qualcuno meno volenteroso di Andrzej Duda. L’atlantismo del premier Tusk quindi è a rischio. Macron sappiamo che ha solo due anni di lavoro all’Eliseo. Di Merz, infine, abbiamo conosciuto gli handicap giusto due giorni fa.

Inserita nel quadro fluido europeo, la stabilità del governo italiano si dimostra una voce fuori dal coro. Virtuosa anche in fatto di progetti pragmatici di Difesa, che vanno nella direzione del dialogo necessario con l’altra parte dell’Atlantico. Gli Usa chiedono di mettere mano al portafoglio. Noi lo stiamo facendo. È un’impresa impopolare. Soprattutto in Italia, dove lo Stato sociale è capillare, forse pure un po’ sprecone e difficile da scalfire. Che poi, se si riarma la Germania, perché noi no? Abbiamo un’industria che tira, usiamola. Ieri Leonardo ha aggiornato i trimestrali. Ordini in crescita del 20,6% sullo stesso periodo dell’anno precedente (6,9 miliardi in termini assoluti), ricavi +14,9% (4,2 miliardi) ed Ebitda +17,9% (211 milioni).