Sergio Scalpelli, sociologo, giornalista e manager, già Assessore alla Cultura del Comune di Milano, analizza con noi la fiammata di violenza e tensione che si propaga nella periferia milanese. «Un segnale d’allarme nazionale».

Il leader della Cgil Maurizio Landini invoca la rivolta sociale, seguono occupazioni nelle università, proteste dei centri sociali e ieri notte la periferia milanese si infiamma. Che succede?
«Per ciò che riguarda le vicende milanesi mi sentirei di dire che, forse per la prima volta, si avverte un certo clima da banlieue. Si pone il tema di immigrati probabilmente di seconda generazione che reagiscono ad un sia pur bruttissimo episodio, con una radicalità imprevista. Non so dire se siamo ai prodromi di una seria tensione con nuclei di ragazzi delle periferie multietniche. Certamente è un fatto inedito. Non so se il sindacato estremizza le proprie posizioni perché avverte forme di rivolta e non vuole lasciarsi sorprendere o se non c’è alcun nesso».

Esiste in questo clima di ricercata tensione, una strategia comune?
«Non so se esista una strategia ma certamente nei cortei Propal si avverte il tentativo di estendere la tensione. Con una politica così debole non si sa chi possa immaginare di cavalcare forme di rivolta urbana».

Le manifestazioni di supposta solidarietà alla Palestina, sempre più connotate da episodi di violenza, possono saldarsi con elementi di radicalismo islamico?
«Le manifestazioni Propal sono il frutto di una gigantesca propaganda che mistifica la storia del Medio Oriente, non considera o addirittura nega il pogrom nazista del 7 ottobre, ma non c’è dubbio che siano guidate da organizzazioni che si saldano col fondamentalismo islamico che è considerato una forma di reazione di quella parte del mondo al modello di vita proprio delle società aperte. L’organizzazione giovani palestinesi in Italia sta con Hamas senza se e senza ma. Vedremo se anche solo in parte, l’area antagonista sarà capace di saldare un movimento ultra-minoritario con il malessere di giovani immigrati, mi sentirei di dire che se la tensione dovesse proseguire, ci proverà sicuramente».

Il banco di prova della tensione sociale dovrebbe spingere i riformisti e chi vuole avere cultura di governo a contrastare e condannare con forza questi episodi. Da parte della sinistra italiana vediamo sin troppe concessioni…
«È un gran problema soprattutto per il PD, meno per i suoi alleati a sinistra. Il PD per ora tace, anche perché ciò che accade non ha ancora, se mai lo avrà, un segno politico definito, ma se fossimo agli albori di una protesta diffusa con segni politici e impolitici diventerebbe un bel problema. Sui Propal nel PD ci sono state fino ad oggi espressioni di convinta simpatia, molto silenzio e poche prese di distanza. Diciamo che il Partito Comunista di Berlinguer, in una condizione diversa e più aspra, ebbe reazioni diverse nel nome della legalità democratica».

Certo oggi la sinistra sembra volersi sempre più radicalizzare, sono in pochi a definirsi riformisti. E non parlo solo dei partiti tradizionali ma anche delle novità dell’area progressista…
«Infatti, sia ben chiaro: per area antagonista non parliamo solo del mondo della sinistra radicale, osserverei con attenzione la deriva rossobruna dei 5 Stelle a guida Conte-Wagenknecht. Non so se ci arriveranno, ma se arrivassero a sostenere posizioni di antagonismo brutale in molti troverebbero facilmente una casa accogliente».

Esiste un problema diffuso di ordine pubblico e di microcriminalità su Milano? Il sindaco e le autorità milanesi stanno rispondendo nel modo giusto?
«Comincio a pensare che sia troppo rassicurante trincerarsi dietro statistiche che correttamente ci dicono che gli episodi violenti, compresi gli omicidi sono drasticamente diminuiti negli ultimi 20 anni. Il punto è come si gestiscono fenomeni inediti per Milano e per l’Italia. Se fosse evidente che siamo entrati in una fase di tensione strutturale in alcune periferie, se le fratture sociali che si riverberano su problemi enormi come il costo dell’abitare e il rapporto salario/costo della vita si saldassero allora avremmo sì una rottura sociale e culturale drammatica. E se l’area antagonista, che è chiaramente in movimento, minoritaria ma in movimento, si mostrasse capace di saldare tensioni diverse e tradurle in una forma di rivolta diffusa, allora sì, ci troveremmo in una condizione di conflitto radicale e di rottura drammatica del ‘patto civile’. Milano ha spessissimo anticipato passaggi delicati nella vita nazionale, speriamo di sbagliare perché, se Milano brucia, brucia l’Italia»

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.