Altro che “leggeri disaccordi” come li ha definiti appena 48 ore fa la premier Meloni parlando delle “diverse opinioni” che puntualmente affiorano nella maggioranza. Solo per restare alle ultime ore, archiviata la marcia indietro sull’agricoltura con Salvini che s’è intestato il merito del ritorno dello sconto Irpef, i “disaccordi” riguardano due dossier pesanti come il Pnrr e il via libera al terzo mandato per i Presidenti di regione che invece ne possono fare solo due consecutivi (legge del 20024). Si tratta di due vicende delicate, importanti per il futuro del paese (il Pnrr) e per la democrazia (il terzo mandato) e destinate a pesare sul voto di giugno e quindi sulla campagna elettorale. Su entrambe si registra lo scontro tra Lega e Fratelli d’Italia. Non proprio “leggeri disaccordi”.

Oggi è previsto il Consiglio dei ministri e tutti sono, da circa un mese, in attesa del decreto legge Pnrr quater. La misura dovrà mettere ordine tra le varie modifiche e rimodulazioni apportate dal ministro Fitto e approvate dalla Commissione europea tra novembre e dicembre. Tra le cose da mettere a posto, diciamo così, ci sono quei circa cento progetti soprattutto dei piccoli comuni che sono stati tagliati perché gli enti locali non erano in grado di realizzare e mettere a terra le singole opere nei tempi previsti. In molti casi, spiegò il ministro Fitto, non erano neppure partite le gare d’appalto. Si tratta di almeno dieci miliardi che sono stati sottratti ai comuni tra le ire di sindaci e governatori soprattutto del sud ma che Fitto ha sempre detto che sarebbero stati restituiti. Con una partita di giro, attingendo da un altro fondo meno rigoroso nel regolamento. E qui ancora siamo.

I soldi non arrivano, i sindaci sono furiosi e non solo loro. Il ministro Fitto litiga con il ministro Giorgetti, titolare del ministero dell’Economia, perché il primo dice all’altro “usa i soldi tuoi” e viceversa. Il dissidio va avanti da settimane. Una settimana fa, al question time al Senato, Giorgetti spiegò che “il testo del decreto legge Pnrr quater è in fase di elaborazione e sarà sottoposto a breve al Consiglio dei ministri. Per le opere comunali non più incluse nel Pnrr, relativamente agli interventi già finanziati – medie opere, piccole opere, e rigenerazione urbana – tali interventi continuano a essere finanziati a valere sulle risorse recate da tali autorizzazioni di spesa senza alcuna conseguenza. Per gli altri interventi di competenza dei Comuni in parte usciti dal Pnrr (come i Piani Urbani Integrati), sono in corso gli approfondimenti per l’individuazione delle risorse necessarie ad assicurarne la continuità”.

Per farla breve, il ministro Fitto vorrebbe che Giorgetti utilizzasse i “suoi” soldi, cioè quelli del Piano nazionale complementare (Pnc), il fondo gemello del Pnrr che vale 30,6 miliardi. È il fondo che ricade sotto la supervisione della Ragioneria dello Stato e quindi del Mef. Fitto punta a quei soldi convinto che il loro utilizzo sia più flessibile rispetto al rigore del Pnrr. Ma non è così. Giorgetti non è d’accordo e invita Fitto a cercare quei soldi tra la propria riserva, ovvero il Fondo di coesione a cui però i presidenti di Regione non hanno alcuna intenzione di rinunciare avendoli già destinarti per altre opere. Chi dovrà finanziare la rimodulazione del Pnrr? Fitto o Giorgetti? I Fondi di coesione o il Piano nazionale complementare? A naso dovrebbero essere i fondi di coesione in modo, tra l’altro, da chiudere il cerchio restando nelle competenze di Fitto che copre ben tre “ministeri”: Sud, Pnrr e Affari europei. Urge una decisione. E il decreto. I sindaci vogliono risposte. Il Sud anche. I presidenti di Regione pure: Vincenzo De Luca ha già fatto presente a Fitto che se tocca un euro dalla Coesione che spetta alla Campania, parte la denuncia. Dopo tanto dibattere oggi dovrebbe essere il gran giorno: pre consiglio stamani alle 10, Cdm nel primo pomeriggio. Ma all’ordine del giorno manca ancora una volta il Pnrr quater. Segno che i nodi sulle coperture sono ancora troppi. E intricati. Da palazzo Chigi si fa sapere che “si lavorerà comunque sino all’ultimo nel tentativo, pur difficile, di portare la misura fuori sacco in Cdm”.

Da un nodo all’altro, senza soluzione di continuità né parvenza di scioglimento, si arriva al terzo mandato.  La Lega un paio di giorni fa ha presentato una proposta per introdurre il terzo mandato per i governatori. Il senatore Alberto Stefani lo ha presentato in Commissione Affari costituzionali al Senato dove si sta discutendo il decreto Elezioni (l’election day dell’8-9 giugno; il voto per gli studenti fuori sede ma solo per le Europee e non per le amministrative). Il testo del Carroccio modifica la legge del 2004 che fissava a due il numero massimo di mandati consecutivi per i presidenti di Regione “al fine di valorizzare il lavoro svolto dai governatori e lasciare ai cittadini la possibilità di scegliere liberamente da chi essere rappresentati”.

È un chiodo nel fianco di Fratelli d’Italia. La Lega cerca una via d’uscita per Luca Zaia che nel 2025, senza modifiche di legge, non potrà più candidarsi e dovrà così lasciare la presidenza della Regione Veneto. Zaia vorrebbe restare. Salvini preferirebbe evitare che Zaia possa essere indicato alla guida del partito. Fratelli d’Italia ieri ha detto no per bocca di Tommaso Foti: “Questo tema non ha i requisiti dell’urgenza”. Lasciando intendere che “non sarà ammesso” nell’ambito del decreto elezioni. Ieri in serata fonti della Commissione hanno spiegato che, al contrario, “alla prima lettura l’emendamento avrebbe i requisiti dell’ammissibilità” e che il nodo “è tutto politico”. Una spaccatura profonda. Che in realtà riguarda anche il Pd dove ci sono nomi di peso, a cominciare da Vincenzo De Luca ma anche Michele Emiliano e Stefano Bonaccini, interessati tanto quanto Zaia al terzo mandato. Il Pd però tace. O almeno ha tutto l’interesse che se la veda prima il centrodestra.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.