L'opportunità sprecata
Se i soldi del Superbonus fossero andati negli ospedali: dalle liste d’attesa alle prestazioni, la svolta che il SSN ha sognato
Il finanziamento della sanità pubblica italiana costa circa undici miliardi di euro al mese. A partire da luglio 2020, quando è stato introdotto, il superbonus è costato alle casse dello stato circa un terzo, tra i tre e quattro miliardi al mese (contando anche i primi mesi nei quali, nella sostanza, la misura non ha “tirato”). Cosa sarebbe successo se i soldi spesi nel superbonus fossero stati invece spesi nella sanità? Cosa avrebbe significato per il nostro paese un aumento di circa un terzo della spesa sanitaria? La storia non si fa con i se e con i ma, e anche in questo caso la storia è ormai fatta. Tuttavia, in un momento in cui si discute del sottofinanziamento del sistema sanitario italiano rispetto a quello di altri paesi a noi simili, vale la pena fare una riflessione. La Corte dei Conti ha recentemente sottolineato come la spesa sanitaria pubblica italiana sia aumentata meno che altrove negli anni successivi alla pandemia, pur partendo da livelli già più bassi. Nel 2022, questa aveva raggiunto il 6,8% del PIL, inferiore a quella tedesca (10,9%), francese (10,3%), e spagnola (7,3%). Nel 2024, si prevede che sarà pari al 6,3% del PIL, un livello inferiore a quello del 2019 (6,4%).
I bisogni e le priorità del SSN
In sintesi, il difetto dell’Italia nel confronto internazionale, già chiaro prima della pandemia, è diventato ancor più marcato. Domandarsi cosa sarebbe successo se avessimo investito in sanità le risorse del superbonus equivale a interrogarsi su quali sono i bisogni e le priorità del servizio sanitario nazionale (SSN). Questo comporta anche chiedersi se il SSN abbia bisogno di un ammontare addizionale di risorse pari, inferiore o superiore al superbonus. Anche per questo porsi la domanda è un esercizio utile – oltre a ricordarci che se una sanità pubblica è sottofinanziata è perché la politica ha preferito spendere le risorse disponibili su altro, come appunto le ristrutturazioni edilizie. A oggi, uno dei problemi più gravi dell’SSN è dato dalle liste d’attesa. Come approfondito in uno studio dell’Istituto Bruno Leoni sulla Lombardia, in un sistema universalistico, le liste d’attesa sono il principale strumento di razionamento della domanda e dunque un effetto diretto della scarsità di risorse. Come si dice, l’offerta di servizi sanitari determina la domanda. O meglio, la domanda viene adeguata all’offerta con l’allungamento delle liste d’attesa. Se l’ospedale non può erogare una risonanza oggi, lo farà domani. Se le risorse sono poche, l’offerta di servizi sarà più bassa e le liste d’attesa più lunghe. Chiaramente, una migliore gestione delle risorse esistenti può contribuire a ridurre le liste d’attesa, ma non sarebbe ragionevole aspettarsi riduzioni significative senza un aumento delle risorse.Se la cifra spesa nel superbonus fosse stata spesa in sanità, a parte l’effetto puramente contabile di portare la spesa sanitaria rispetto al PIL oltre i livelli medi dei nostri partner europei – andando anche oltre la richiesta del recente appello da parte di intellettuali e scienziati, tra i quali il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi – il sistema avrebbe avuto risorse fresche per riportare le liste d’attesa a livelli più ragionevoli.
La soluzione e i problemi del personale
In tal senso, una misura che contribuirebbe in breve tempo ad aumentare il volume di prestazioni erogate dal sistema sarebbe quella di rimuovere i tetti alle prestazioni da privati accreditati, fermi al 2011 a seguito del decreto di revisione della spesa pubblica del luglio 2012. La seconda grande questione dell’SSN di oggi, strettamente legata alla scarsità di risorse finanziarie, è quella del personale. Mancano medici e infermieri. Il sindacato dei medici italiani ha indicato un deficit di 20mila medici e 70mila infermieri, a cui si dovrebbe aggiungere il pensionamento di 40mila medici entro il 2025. Il problema non riguarda solo gli ospedali, dal momento che nel territorio mancano circa 3 mila medici di medicina generale secondo la fondazione Gimbe. Al di là della precisione di queste stime, il problema è dunque evidente. La questione del personale suggerisce però di tenere conto di una complessità del sistema sanitario che va oltre la disponibilità di risorse. La formazione del personale richiede tempo e non esistono ricette miracolose capaci di risolvere immediatamente il problema – consentire agli specializzandi di iniziare a lavorare un anno prima della fine della specializzazione tampona, ma non risolve. Avere a disposizione le risorse del superbonus non aiuterebbe molto su questo punto nel breve termine. Paradossalmente, potrebbe portare a sperperare risorse su personale amministrativo non necessario.
Le aspettative dei cittadini
Dunque le risorse non sono tutto. La stessa iniezione di risorse avuta col PNRR si sta rivelando meno utile di quanto sperato. Questo in parte è dovuto al fatto che in questo caso si tratta di risorse temporanee (in gran parte ancora neanche spese, come monitorato da openpolis) dedicate perlopiù a investimenti in nuove strutture, mentre il sistema necessita di risorse stabili per la spesa corrente, come appunto il personale. Grandi piani di investimento dall’alto, quali sono quelli del PNRR, contribuiscono a alzare le aspettative dei cittadini, destinate a essere regolarmente deluse. Per esempio, tra gli obiettivi conclamati degli ultimi anni, a seguito della pandemia, si include spesso quello di rafforzare la sanità territoriale, ma non è affatto chiaro come questo debba accadere tramite un piano nazionale che obblighi a spendere un certo ammontare di risorse in voci pre-determinate dall’alto.
Se l’aumento delle risorse è certamente importante, questo andrebbe accompagnato da una programmazione che tenti di coinvolgere gli attori che stanno più vicini ai problemi dei pazienti, come gli enti locali, le strutture sanitarie pubbliche e private, e i medici di medicina generale. Non solo: l’impiego delle risorse ha sempre un costo opportunità, perché un euro speso nel superbonus non può essere speso in sanità, e uno in sanità è sottratto all’istruzione o agli utilizzi produttivi che ne farebbero i contribuenti, se fossero soggetti a un carico tributario inferiore. Il dibattito sulla dotazione del SSN, quindi, non può risolversi nella richiesta di maggiori risorse, ma dovrebbe anche avere il coraggio di esortare a una complessiva revisione della spesa. Non c’è dubbio che la sanità abbia bisogno di una dotazione adeguata, ma questa – in un paese ad alta pressione fiscale come l’Italia – non dovrebbe erodere ulteriormente i redditi reali degli individui. Dovrebbe inserirsi nel contesto di un riequilibrio delle attività dello Stato.
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