La vicenda di A.A., il detenuto che nell’istituto penitenziario di Secondigliano ha dovuto fare ricorso allo sciopero della fame per ottenere un pc che gli consentisse di consultare i materiali di studio per prepararsi a sostenere l’esame previsto in quanto iscritto a un corso di laurea della nostra università, solleva non poche domande ma necessita anche di fornire alcuni chiarimenti. La prima riguarda la disponibilità dell’attuale Direzione amministrativa penitenziaria (Dap) di continuare a sostenere in misura ancora più forte quanto fatto negli ultimi anni dietro la spinta dell’allora presidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) e oggi ministro dell’Università Gaetano Manfredi. A partire dal 2018 presso la Crui fu costituita la Conferenza nazionale universitaria dei poli penitenziari (Cnupp), con lo scopo di dare seguito in maniera più ampia, stabile e coordinata alla promozione del diritto allo studio universitario agli studenti detenuti o in esecuzione penale esterna o persone sottoposte a misure di sicurezza detentive coincidenti con misure di privazione della libertà personale.

In soli tre anni questa esperienza è cresciuta e la formazione universitaria in ambito penitenziario oggi annovera 36 atenei associati che complessivamente contano tra i propri iscritti – secondo i dati del più recente rilevamento – 926 studenti detenuti in 77 istituti penitenziari del Paese (53 case circondariali e 24 case di reclusione) e in alcune Rems. Per risolvere i vari problemi che si presentano e migliorare la collaborazione tra singoli istituti e atenei, a settembre 2019 si è siglato un protocollo d’intesa tra il Dap e la Cnupp in base al quale è stato avviato un confronto stabile sulle condizioni in cui si trovano sia le persone detenute che gli operatori cui sono affidati. Nonostante il lockdown, le varie università si sono impegnate a mantenere, per quanto possibile, i contatti con gli studenti detenuti, ritenendo che la situazione di emergenza non avrebbe dovuto compromettere i percorsi di studio intrapresi.

Cercando strade diverse da quelle seguite in condizioni di contatto tra docenti e studenti, ma ugualmente efficaci, in molti casi la disponibilità delle direzioni ha permesso di garantire lo scambio formativo, l’offerta didattica, la garanzia della possibilità di assolvimento dei doveri di ogni studente universitario. Ed è su questa linea che si inserisce l’esperienza del Polo universitario di Secondigliano voluto dalla Federico II e al quale, si spera, quanto prima si vada ad aggiungere quello di Poggioreale e di altri istituti penitenziari della Campania.

È una strada tutta in salita. Infatti, da un recente monitoraggio effettuato dai delegati dei rettori per i poli universitari penitenziari che ha fotografato quanto accaduto durante la fase di isolamento nei diversi istituti penitenziari, emerge che “solamente in meno di un quarto (23%) degli istituti monitorati si è riusciti a garantire facilmente la continuità all’offerta formativa, mentre in circa il 50% degli istituti i contatti sono stati mantenuti con difficoltà e ben nel 25% dei casi i contatti con gli studenti sono stati del tutto interrotti, a volte senza che ai responsabili dell’università venissero fornite risposte alle richieste di mantenere una qualche forma di scambio con gli studenti detenuti”. Questi dati offrono elementi di riflessione su quanto sia difficile praticare tale esperienza e quanta poca disponibilità permanga ancora in molte strutture penitenziarie. E qui veniamo alla seconda domanda. Essa inerisce il modo in cui, al di là della retorica che può essere costruita sul dettato costituzionale e sulla finalità della pena e del trattamento umano delle persone detenute, vogliamo effettivamente dare seguito alla punitività nel nostro Paese. L’Italia ha una lunga tradizione a riguardo caratterizzata da una oscillazione tra repressione e clemenza.

Non ci siamo quasi mai trovati di fronte ad uno scenario univoco. Basti osservare i tassi di incarcerazione che, già dopo la riforma del 1975, hanno avuto andamenti addentellati perché caratterizzati da amnistie e indulti con conseguenti deflazioni della popolazione carceraria, dando così al sistema italiano della penalità un volto moderato e pragmatico, ma poco attento alla reale riabilitazione della persona detenuta. È questa permanente tensione tra moderazione e repressione, alternanza tra punitività e clemenza che impedisce di costruire in maniera chiara e lineare percorsi efficaci di recupero e responsabilizzazione del detenuto, ancorché fare della detenzione un architrave – sebbene residuale – della deterrenza. Basti osservare quanta difficoltà ancora oggi ha la mediazione penale ad essere costantemente perseguita e quanto lontano ancora risultino la pratica e diffusione dell’esperienza della giustizia ripartiva, al di là delle buone prassi in qualche istituto penitenziario realizzate con il sostegno dei relativi tribunali.

L’esperienza dei poli universitari non è la panacea, è ovvio, ma sicuramente rappresenta un tassello importante per l’accrescimento del capitale umano, è una risposta all’esigenza di autostima e di rispetto di sé che aiuta ad invertire la deriva del risentimento nei confronti dello Stato. Sarebbe davvero strano che in una nuova fase storica nella quale si sottolinea la rilevanza dell’economia della conoscenza, il ruolo determinante di quest’ultima nella creazione del valore economico, si perpetuasse a marginalizzare ulteriormente la popolazione carceraria non potendo garantire nemmeno l’accesso alla soglia divenuta minimale costituita da un livello superiore di istruzione. È importante allora che il confronto tra università e amministrazioni penitenziarie centrale e decentrate (Prap) e le direzioni dei singoli istituti penitenziari, come già spesso avviene, si promuovano e sostengano ancor di più nei vari contesti locali e che ad esse facciano seguito iniziative congiunte che abbiano al centro il significato culturale insito nell’incontro tra l’universo carcerario e le comunità universitarie, anche ai fini della sensibilizzazione delle comunità locali sul valore dei percorsi di studio per le persone private della libertà personale.