Stavolta siamo stati fortunati. Poteva avvenire una strage sull’Autostrada A6 per il crollo di un viadotto nei pressi di Savona, ma per un caso la frana è avvenuta di domenica, in un momento di traffico limitato che ha permesso alle auto e ai pullman di frenare in tempo. Ma è possibile continuare a sperare nella buona sorte?  Può essere il fatalismo l’unico modo con cui guardare a quanto avvenuto in questi giorni da Pavia a Matera, da Venezia a Grosseto? No, non è accettabile continuare così. Anche perché è sempre più evidente che agli oramai noti problemi idrogeologici del territorio italiano si debbano sommare le nostre responsabilità nella scarsa attenzione alla manutenzione di quanto costruito e poi anche gli impatti di un clima che sta già cambiando. Di sicuro non stiamo facendo nulla rispetto al cambiamento climatico in corso, sia sul fronte dell’aumento delle emissioni di gas serra – in crescita nel 2018 in Italia e nel mondo – che di quello della messa in sicurezza ed adattamento del territorio a fenomeni estremi sempre più intensi e frequenti. Questo scenario ci dovrebbe portare a guardare in modo nuovo ai rischi che si potranno correre nelle città e nei territori, perché alluvioni, ondate di calore e siccità renderanno ancora più pesanti i problemi che già soffriamo.

Dal 2010 a oggi sono stati 563 gli eventi meteorologici estremi che hanno causato danni rilevanti nel nostro Paese, come racconta l’ultimo Rapporto di Legambiente presentato il 19 Novembre scorso. Nel 2018 il bilancio è stato molto superiore alla media degli ultimi cinque anni, con 148 eventi che hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati. Se poi andiamo a vedere l’impatto sulle infrastrutture – un tema di cui nessuno si occupava fino al crollo del Viadotto Morandi a Genova -, scopriamo che dal 2010 a oggi, sono 193 i casi di danni alle infrastrutture dovuti a piogge intense, 73 i giorni di stop a metropolitane e treni urbani nelle principali città italiane, 72 i giorni di black-out elettrici. D’altronde è quanto conoscono bene i cittadini di Roma, Milano, Genova e Napoli che fanno i conti da tempo con un traffico che va in tilt, con sottopassi e strade che improvvisamente diventano pericolosissimi perché sommersi dall’acqua. Ma come si sta preparando il nostro Paese di fronte a queste sfide? Purtroppo, per ora, sta facendo poco e in ordine sparso, senza una bussola che aiuti a individuare le priorità. Siamo infatti l’unico grande Paese europeo che non dispone di un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, ossia lo strumento che dovrebbe servire proprio a individuare le aree a maggior rischio su cui concentrare risorse e interventi. Non solo, il governo Conte II non ha ancora fatto capire come pensa di uscire da uno dei nodi politici che spaccano la maggioranza sulle scelte da intraprendere. Uno dei primi atti di questa legislatura è stata infatti la chiusura della struttura di missione “Italia Sicura”, che si occupava di lotta al dissesto idrogeologico, che aveva la grave colpa di essere stata creata da Renzi, trasferendo tutte le competenze al ministero dell’Ambiente. Dopo più di un anno è evidente il fallimento di quella scelta, con progetti fermi e una dispersione di risorse tra interventi di cui non si conosce l’utilità, mentre i Comuni non hanno le risorse neanche per la manutenzione di tombini e fiumi. Soprattutto continuiamo a spendere male.

Secondo Ispra dal 1998 a oggi abbiamo speso circa 5,6 miliardi di euro in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi per “riparare” i danni del dissesto. La follia è che continuiamo a spendere ogni anno quattro volte nel rincorrere tragedie rispetto a quanto investiamo in prevenire gli impatti e riqualificare il territorio. Continuando così non cambierà mai nulla e l’attenzione rispetto a questi temi sarà solo nelle ore successive alle periodiche tragedie. Eppure tutto questo è politica, descrive meglio di tanti annunci cosa vuol dire investire nel “green new deal” di cui si parla tanto in questi mesi di governo giallorosso. Puntare su questi temi consentirebbe anche di spostare il centro della discussione sull’emergenza sicurezza in Italia imposta da Salvini, intorno alla questione migranti. Perché i fatti raccontano altro e i sondaggi dimostrano che le persone sono sempre più spaventate dall’impatto di un clima che sta cambiando. Smettiamola con le polemiche e la caccia a qualcuno da sbattere in galera. Il problema è molto più ampio e complesso, ma si può affrontare e dargli risposta. Ad esempio il ministro degli Esteri Di Maio che in queste ore ha lanciato le ennesime, condivisibili, accuse nei confronti dei concessionari autostradali per i ridotti investimenti in manutenzione, potrebbe subito impegnarsi nel fare qualcosa di utile. La convenzione di quell’autostrada scade nel 2021, è dunque nelle mani del governo la decisione rispetto alla sua prossima futura gestione.  Vedremo se premierà i soliti gruppi o se ci saranno per la prima volta tariffe equilibrate e controlli, se sarà garantita la sicurezza a chi percorre l’autostrada.

Edoardo Zanchini

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