Circola un detto tra i capannelli 5 Stelle mentre l’aula di Montecitorio si avvia in questo martedì di agosto a concludere la maratona sul decreto che riforma il processo penale: “Conte ne ha colpito uno per educarne cento”. Quell’uno si chiama Alessandro Melicchio che ha avuto l’ardore, domenica, di votare a favore delle pregiudiziali e quindi contro la riforma Cartabia. Domenica sera, dopo i 40 assenti e i due voti a favore (delle pregiudiziali), nella congiunta con i parlamentari M5s il leader in pectore è stato durissimo con Melicchio, gli ha detto che di giustizia capisce poco o nulla e che «basta leggere i tuoi post». «Nel nuovo corso del M5S – ha chiarito Conte – la presenza compatta sarà la cifra della nostra forza politica. Le assenze non mi piacciono. La fiducia è assicurata». In subordine, negli stessi capannelli, si fa notare che la trasferta a Bologna del medesimo Conte e l’incontro, casuale per carità, con la ministra Cartabia fuori dalla cattedrale, «hanno chiuso ogni eventuale sacca di opposizione al testo della riforma». «Andrà tutto bene, non ci saranno sorprese» aveva rassicurato Conte.

Questi due fatti accaduti fuori dall’aula tra domenica e lunedì, hanno sciolto ogni residua sacca di incerti e ostili. I 190 deputati 5 Stelle sono per incanto tornati sorridenti e leggeri – nelle pause parlano di vacanze e si fanno piccoli scherzi – il peggio è passato, la legislatura è salva e l’onore anche visto che la riforma approvata porta sempre il nome dell’ex ministro Bonafede. È come se l’uno-due di Conte – la sparata in congiunta e l’incontro casuale con la ministra – avessero allontanato dubbi, malumori e resistenze. Solo venti assenze, di cui tredici ingiustificate, nei due voti di fiducia di lunedì notte. Poche di più nel voto finale di ieri sera.

Nessun voto contrario. E questo è il trofeo che Conte può consegnare alla ministra Cartabia e al premier Draghi. E, anche, la migliore assicurazione per la propria leadership: la scorsa notte, al massimo questa mattina, saranno resi noti i voti sulla piattaforma Skyvote. Il leader in pectore punta all’elezione al primo turno (quello che si è chiuso ieri sera alle 22) e quindi ad avere il quorum. Sarebbe un problema, per Conte e anche per “l’alleato Pd”, se accadesse il contrario. Se la riforma del processo penale è stato il battesimo di fuoco per il leader Conte e la sua capacità di tenuta del Movimento, l’ex premier ha passato la prova. Ma lo ha fatto nell’ambito di una trinità – Conte-Grillo-Di Maio con cui sarà destinato a fare i conti molto più spesso del previsto.

I tre voti delle ultime 24 ore blindano il governo Draghi. E sono anche il benvenuto al “semestre bianco”, i sei mesi di fine mandato in cui il Capo dello Stato non può sciogliere le Camere. Ma non escludono una crisi di governo. Il fatto è che sotto il tappeto della larga maggioranza sono state nascoste divisioni, rivalità e incomprensioni destinate a far fibrillare il Parlamento e, anche, l’azione di governo. Soprattutto in vista del voto per le amministrative il 3-4 ottobre.

Draghi ha già detto di non essere disponibile a farsi tenere sotto ricatto dai singoli partiti e dalla loro ricerca di consenso. Che quindi, metterà la fiducia ogni volta che sarà necessario visto che su riforme importanti come quelle legate al Pnrr e che il Parlamento ha detto di voler appoggiare, «è bene sapere ogni volta chi sta dove».

Le forze politiche sono invece destinate a darsele di santa ragione. All’interno e fuori il perimetro della maggioranza. Se n’è avuta la prova proprio ieri, primo giorno di semestre bianco che se da una parte ha messo a segno il via libera finale alla riforma, nelle votazioni sugli 85 ordini del giorno ha fotografato le reali condizioni della maggioranza Draghi: un Vietnam.

Sull’ordine del giorno numero 6 presentato da Rossella Muroni (Facciamoeco) la maggioranza e il governo si sono salvati per soli 5 voti. L’odg riguardava la richiesta “di valutare se escludere gli ecoreati” dalla tagliola della improcedibilità del processo dopo due anni in Appello e un anno in Cassazione. Una modifica che Muroni aveva discusso anche con il governo. Ecco perché è rimasta stupita quando dai banchi del governo, dov’era seduta la ministra Cartabia, è arrivato il pollice verso, cioè parere contrario. A quel punto è iniziata la votazione e la maggioranza è andata letteralmente in frantumi: “solo” 186 voti contrari all’odg, 181 i favorevoli. Hanno votato a favore dell’odg e contro il parere del governo i 5 Stelle, due senatori di Leu, Fratelli d’Italia, Sinistra italiana e gli ex 5 Stelle di Alternativa c’è. Il Pd si è astenuto. È stato facile a quel punto per il capogruppo della Lega Riccardo Molinari alzarsi e puntare il dito: «Questa mattina Lega e Forza Italia erano a favore di un ordine del giorno sulla responsabilità civile dei magistrati (che è anche il primo dei sei quesiti Lega-Radicali, ndr), il governo contrario e ci avete accusato di essere “inaffidabili e incoerenti”. Cosa dovremmo dire adesso che un gruppo intero (M5s, ndr) ha votato contro il governo e l’altro si è astenuto?». Applausi, grida, rumoreggiamenti da una parte all’altra dell’emiciclo.

E per l’appunto, proprio quell’ordine del giorno (responsabilità civile dei magistrati) è stato l’occasione per un’altra lite, durissima e in diretta. Questa volta i protagonisti sono stati Leu e Italia viva che certamente hanno punti di vista diversi sulla giustizia. Nel primo pomeriggio è andato in votazione l’ordine del giorno di Fratelli d’Italia. Lega, Forza Italia e Coraggio Italia hanno deciso di astenersi. Italia viva ha lasciato libertà di coscienza. Pd e Leu si sono alzati sui banchi richiamando “il senso di lealtà”. A quel punto il renziano Roberto Giachetti, radicale e pannelliano, ha dato voce a ciò che rimuginava da qualche minuto. Prima ha risposto al Partito democratico: «Onorevole Bazoli, io non l’ho vista urlare la lealtà al governo quando in commissione insieme ai 5 stelle avete mandato sotto il governo sul decreto Semplificazioni. E ci venite a parlare di lealtà su un ordine del giorno che sapete quello che conta» ha attaccato l’esponente di Italia viva. Poi al capogruppo di Leu: «Onorevole Fornaro, mi parla di lealtà al governo lei, che ha invitato Travaglio a insultare il presidente del Consiglio. Ma con che coraggio? Non venite a darci lezioni». E qui sono volati gli insulti. Pesanti. Così si sta insieme in maggioranza. Ben arrivato semestre bianco: più tigre di carta che rischio reale, saranno comunque sei mesi vivaci.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.