Mai una palla insaccata in rete aveva dato così tanta gioia. Quel rovescio di Medvedev che finisce in rete come il pugno a vuoto di un pugile suonato fa esplodere i 13 mila del Pala Alpitour. E i milioni di italiani che hanno seguito la partita in tv. L’Italia ha trovato un campione. Che non è un eroe perché c’è poco legato al caso e molto, invece, conseguente al talento e alla serietà della fatica dell’allenamento nell’impresa che porta oggi Jannik Sinner a giocare la prima finale Master nella storia del tennis italiano. Mai nessuno così in alto prima di lui. Gli appassionati di tennis possono finalmente mettere nel giusto posto della Storia Adriano Panatta e Paolo Bertolucci – protagonisti in questi giorni a Torino di deliziose telecronache che sono anche diventate un seguitissimo podcast edito da Fandango e “Tennis Italiano” – e concentrarsi e sognare per un nuovo campione. Tutto questo a prescindere da quello che succederà domani (ore 18) quando “Giannino” – così il Pala Alpitour ha tradotto Jannik – scenderà in campo contro il vincente tra il GOAT di sempre, Nole Djokovic, e la nuova star spagnola Carlitos Alcaraz.

La partita più bella

È stata una partita esaltante, la più bella delle quattro giocate in questa settimana. Ma prima di una cronaca doverosa per alcuni momenti magici che dopo diremo e che spiegano il successo (63/67/61) sul numero 3, il russo Medvedev, in tre set giocati a velocità incredibili, con scambi infiniti (a parte i dieci ace per parte), conviene soffermarsi su un’affermazione e una metafora. L’affermazione è quella del coach Simone Vagnozzi, uno che non parla mai e che ieri si è concesso un breve confronto con i giornalisti: “Il tennis è un puzzle, servono tanti pezzi – tattica, tecnica, fisico, tenuta mentale – che vanno miscelati bene. Jannik è cresciuto molto in ognuno di questi e negli ultimi due mesi i pezzi sembrano essere andati a posto. Oggi ha sorpreso anche me quando se n’è uscito (settimo game del primo set, quello del secondo break, ndr) con quella smorzata e il lob vincente. O quando (secondo set, ottavo game) ha recuperato quel gioco di servizio grazie ad una smorzata di dritto tirata fuori dal cilindro. Mi ha impressionato per la reazione che ha avuto nel terzo set chiuso in modo così autorevole e perentorio”.

La metafora di Sinner

La metafora è quella che usa lo stesso Sinner pochi minuti dopo nella conferenza stampa post match. La domanda è di quelle che possono aprire scenari inattesi: come succede che tu prendi sei schiaffoni da uno (gli scontri diretti con Medveved sono 6 a 3 per il russo) e poi gliene restituisci tre uno dietro l’altro (le tre vittorie consecutive di Sinner, ndr)? Il ragazzo dai capelli rossi, che qualcuno chiama Fox ma non solo per il colore dei capelli, ci ha pensato un po’ su, ha roteato gli occhi in cerca della risposta (lo fa sempre, non è uno che risponde a macchinetta) e li per lì ha detto “boh, non saprei” poi se n’è uscito con la metafora della pasta.”Penso che sia un po’ come quando impari a cucinare la pasta: la prima volta la fai magari un po’ scotta; la seconda volta migliori ma manca il sale; poi via via ci metti i pomodorini tagliati fini e anche il basilico. Alla fine di vari tentativi viene fuori una buona pasta. Ecco, penso che anche nel tennis sia un po’ così: provare e provare, trovare gli ingredienti giusti e miscelare finchè trovi il giusto equilibrio”. Babbo Hanspeter, da settembre aggregato al team e di mestiere cuoco nel rifugio Fondovalle (Talschlusshütte) in Val Fiscalina, ha cresciuto il piccolo di casa con la filosofia di uno chef. E quella “filosofia” oggi si si giocherà una finale per il titolo di maestro.

Numeri magici

Un po’ di numeri per misurare il fenomeno Sinner: nel 2023 ha giocato 75 partite e ne ha vinte 61; indoor ne ha vinte 17 su 18; dopo la sconfitta in tre set contro Djokovic nella semifinale di Wimbledon, ha giocato 33 partite e ne ha vinte trenta. Otto vittorie contro i top ten in un mese e mezzo. Sono numeri da fenomeno. “Attenzione però – ha continuato Sinner sempre pensando alla pasta al pomodoro – se si vuole aggiungere troppi ingredienti, dopo può capitare che il piatto non sia più buono”. Questo per dire che “anche godersi il momento, saperlo fare, che non vuol dire accontentarsi , è un ingrediente necessario”. In questa settimana che gli cambierà la vita perché è ormai una star (“non mi preoccupo di questo, io ho i capelli rossi ed è facile riconoscerli ma il cappuccio in testa mi può aiutare in certi momenti”) non c’è dubbio che Sinner abbia saputo anche calcolare bene le pause, l’attesa, la consapevolezza che l’obiettivo dell’anno era stato raggiunto (le Finals) e che quindi poteva giocare tranquillo. Come alla fine ha giocato ieri in quelle due ore e 29 minuti nell’arena del Pala Alpitour, salone delle feste delle Nitto Atp Finals.

Sinner a 120 km orari

Il primo set se n’è andato in 45 minuti. Medvedev ieri ha scelto di giocare fortissimo ed è partito per mettere subito molta pressione all’azzurro soprattutto sulla diagonale del dritto, una gabbia da cui Jannik è stato molto abile a liberarsi senza farsi schiacciare e sopraffare. Il break è arrivato nel quarto gioco. E in quello successivo è stato bravo a recuperare da 0/30 sotto con il servizio a disposizione. La Volpe Sinner ha stupito per la freddezza – o incoscienza – che ha avuto quando ha deciso di spezzare quel vortice di colpi da fondo campo con smorzate e lob. I rovesci lungo linea sono il suo marchio di fabbrica. Il gioco a rete molto meno. “Oggi ho fatto poco serve and volley e ho variato troppo poco, ho cercato di fare due slice e sono usciti due pallonetti posso migliorare” si è criticato nel post match. Come se fosse facile variare il ritmo su un campo così veloce con palle che viaggiano in media sui 120 km orari sul dritto e sul rovescio (tra i quattro finalisti Sinner quello che lo colpisce più forte).

Nella pausa tra primo e secondo set il russo esce. Farà una pausa lunghissima anche tra secondo e terzo “per un risentimento al gluteo”. La seconda partita riprende con lo stesso schema della prima, è condizionata dalle poche prime palle di servizio per Sinner, un handicap che lo trascina fino al tie break in un testa a testa esasperante. Il rumore del rovescio di Sinner ha uno stock inconfondibile per la potenza e la velocità. Nel tie break però il russo mette a segno due ace e un paio di ace sporchi. Non c’è partita: 7-4 per il russo. Il pubblico acclama il suo campione. Teme che possa bastarsi così, in fondo è già nei record e nella storia del tennis italiano. E ha 22 anni compiuti il 6 agosto. Ma Sinner aspetta in campo il suo avversario che resta fuori dal campo ben oltre i tre minuti consentiti. Lo aspetta dal suo lato del campo, si muove e tiene attive le gambe. Il body language dice che non ha alcuna intenzione di mollare. Adesso la prima di servizio funziona bene (70% di prime dicono le statistiche), sale 3 a zero in pochi minuti. Medvedev ingaggia una rissa col pubblico e si becca il warning. E’ uno suo marchio di fabbrica, lo fa per caricarsi, odiare e ripartire. In realtà poi ammetterà che “non è successo nulla, sono andato un po’ fuori di testa. Anzi, il pubblico di Torino è stato molto sportivo e mi ha aiutato durante tutta la settimana. Quindi grazie”.

Quello del terzo set è un Sinner che non ammette sconfitte, perentorio, tira i suoi lungolinea migliori soprattutto di rovescio, piatti, fulminanti che lasciano fermo anche quella molla alta quasi due metri che è Daniil Medvedev. C’è tempo di ringraziare ancora una volta il pubblico. “Da quando sono qua sento un calore ed un’energia incredibili, grazie per questo” dice Sinner alla fine applaudendo il pubblico. Poi è già tempo di pensare a domani (finale ore 18). Stasera vedrà l’altra semifinale, numero 1 contro il numero 2, Djokovic contro Alcaraz. Il suo avversario uscirà fuori da qui. “Vedrò molto filmati, statistiche, avrò tutte le informazioni che mi servono” dice Sinner. Il serbo o lo spagnolo? Ha battuto entrambi. Djokovic martedì sera, per la prima. “Sta diventando normale giocare con i top e così anch’io mi sento più tranquillo”. È nato un campione. Che non vorrà mai essere un eroe.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.