Sei Punte
Non sono altro che chiacchiere da bar
Smotrich rilancia la sovranità di Israele in Cisgiordania, dibattito da autogrill sul diritto internazionale
La provocazione del ministro delle Finanze isralieano riaccende la discussione sui territori contesi. Volano parole come “occupazione” e “insediamenti illegali”
L’altro giorno il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, ha dichiarato che in vista dell’insediamento dell’amministrazione Trump lavorerà per l’imposizione della “sovranità” israeliana in Giudea e Samaria: tanto per intendersi – anche se non è esatto – la zona che a volte è indicata come Cisgiordania, o West Bank. È chiaro anche ai sassi che Smotrich – un politico religioso, portatore di ambizioni nazionaliste istituzionalizzate dall’accreditamento che Bibi Netanyahu ha fatto vagheggiare alle fazioni ultra-ortodosse – si è lasciato andare a quella sparata per tastare il terreno, per vedere che cosa avrebbe smosso nei confini domestici e nel quadro in movimento del potere statunitense.
Prevedibilmente ne sarebbe venuto un bordello e infatti così è successo, con le cancellerie diplomatiche di mezzo modo e i plenipotenziari delle galassie delle burocrazie internazionali mobilitati a denunciare le brame di “annessione” annunciate da quel ministro disinvolto. Ed è stata un’occasione di esemplare ribalta per diciture di cui si fa uso tanto frequente quanto improprio: “occupazione”, “territori occupati”, “insediamenti illegali in violazione del diritto internazionale”, insomma le formule che conferiscono fibra al dibattito pubblico, cioè le chiacchiere da autogrill o le rispettive versioni cartacee, cioè i giornali. Se domandi alla camera alta di quel dibattito (l’autogrill) o alla sede più degradata (la redazione giornalistica media) che cosa significhino quelle diciture e, soprattutto, quale fondamento possano vantare, diciamo che mediamente stai fresco in un caso e nell’altro.
I territori “occupati” sono occupati da Israele così, per definizione, ma non pensare che ti spieghino quali sono e a chi avrebbero appartenuto prima della presunta occupazione: se va bene ti dicono che era Giordania (che li aveva invasi ma senza occuparli, perché a “occuparli” può essere solo Israele); se va male ti dicono che era “Palestina”, che o non significa niente o significa l’opposto di quel che crede chi risponde così. Perché? Perché sino a prova contraria a quell’altezza di tempo non c’era uno “Stato di Palestina” (così come non c’è adesso), e semmai si trattava della Palestina mandataria, cioè di Israele. Che, al momento della fondazione, comprendeva tutto quello che c’era “dal fiume al mare”. Quindi Israele occupava sé stesso. Dice: “E le Nazioni Unite? E il diritto internazionale?”.
Se gli rispondi domandandogli come, dove, da quando le Nazioni Unite avrebbero il potere di creare Stati o di stabilire confini, e in base a quale regola di diritto internazionale, c’è caso che l’avventore di autogrill e il suo omologo meno avveduto, cioè il redattore medio, siano presi da qualche spaesamento. Dice: “Ma c’è la Convenzione di Ginevra! Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono illegali!”. Se gli domandi dove si parli di “insediamenti” in quella Convenzione, aspetta e spera. La Convenzione dice che “La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”. Ma, pur ammettendo che Israele sia la potenza occupante (lo abbiamo visto prima: cosa “occupa”?), quando e come avrebbe “trasferito” o “deportato” la propria popolazione nei cosiddetti territori occupati? Sono “deportati”, i cosiddetti coloni? E quando sarebbe avvenuta, e come, questa “deportazione”? Chi avrebbe ordinato e attuato, quando e come, questo “trasferimento”? Panico in autogrill e in redazione.
La realtà è che non c’è proprio nessuna regola di diritto internazionale che sanzioni la “illegalità” dei cosiddetti “insediamenti” – categoria semplicemente inesistente – né qualsiasi regola di quel rango che definisca una cosa diversa dall’unica certa: e cioè che i confini di Israele sono quelli della Palestina mandataria, esistenti al tempo della dissoluzione del mandato britannico. Tutt’altro discorso riguarda la soluzione politica di una situazione, riguardante milioni di persone, che deve imperativamente essere risolta e che non può non essere risolta se non al prezzo di conflitti eterni.
Così come tutt’altro discorso riguarda le non episodiche illegalità e le intollerabili sopraffazioni che si consumano in Giudea e Samaria ai danni della popolazione araba (a sua volta non episodicamente responsabile di una militanza belligerante e terroristica che non ha nulla a che fare con legittime pretese di autodeterminazione, e si riduce a quella ben diversa di distruggere Israele e uccidere tutti gli ebrei). È una questione un po’ più vasta rispetto alle provocazioni di quel fanatico di Smotrich.
© Riproduzione riservata